Nella fase di riavvio del Paese, il Governo tenga conto della categoria. Dal Dpcm nessun impulso a parità genere, solo aggravio per donne

Ci si ricorda di tutti: del metalmeccanico, del libero professionista, della colf,  dell’imprenditore, del lavoratore in nero, della scuola, dei giovani. Di tutte le categorie. “Ma incredibilmente sta succedendo che proprio  nel momento in cui il punto focale è la casa, non è mai uscito il nome ‘casalinghe’. Eppure in questo riavvio del paese il Governo dovrebbe  tenere conto di nove milioni di persone qualificate pronte a  risollevare l’Italia chiedendo poco”. Tanto più che il Dpcm ‘io  resto a casa’ “è stato un ulteriore aggravio per la categoria e non un impulso alla parità di genere, come si sarebbe auspicato”. A parlare  con l’Adnkronos è Federica Rossi Gasparrini, presidente nazionale  Obiettivo Famiglia/Federcasalinghe, che lancia la provocazione: “Ci volete casalinghe e  basta?”. Quindi denuncia: “Avevamo scritto al presidente Mattarella e  al ministro del Lavoro. Ma la Catalfo non ci ha mai risposto”.

Lavoratrici invisibili a partire dalle mura domestiche: un esercito di quasi nove milioni di donne in convivenza forzata con uomini e figli a carico, 24 ore su 24, invisibili fuori e dentro casa sia per quanto riguarda il sovraccarico di lavoro durante la quarantena che per l’ancor maggiore consapevolezza di necessità di emancipazione della categoria. Supporto maschile? “Nessuno. A parte i ‘maschi attivi’ che  si ritagliano degli spazi nel fai da te, mascolinizzando il loro stare in casa. Ma che spesso, riparando tapparelle o curando il sistema  idraulico, entrano in conflitto con l’attività della donna che  vorrebbe il ‘tutto libero'”. Soluzione? “Dopo i primi due giorni le donne hanno capito che un sorriso rende più facile un momento difficilissimo”.

Ma con una manifestazione di ‘letizia’ non si annulla il malcontento: “Ricevo continuamente email di riflessione sul loro stato di avvilimento, dovuto al non esserci nel panorama italiano – prosegue la Gasparrini – Anche adesso, che sono diventate un punto di  aggregazione, non compaiono; ora che in un 15% dei casi si trovano a  dover gestire da sole situazioni difficilissime, sono invisibili”. Ancora oggi, nonostante il regime di ‘detenzione domiciliare’ “non  siamo riuscite a sollecitare la questione del lavoro familiare al Governo: di quell’80% di casalinghe tra i 30 e i 50 anni che vorrebbero e dovrebbero essere valorizzate anche attraverso adeguati percorsi di formazione nel ripensamento della Nazione che sta  effettuando lo Stato. Eppure, sono persone qualificate, pronte a  risollevare il Paese chiedendo poco”.

La presidente di Federcasalinghe racconta d’avere scritto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo scorso agosto e poi ancora nel novembre 2019 chiedendo “nuove strategie di immissione in  moderne attività imprenditoriali, anche sostenibili dal punto di vista ecologico”; domandando che non fosse sottovalutato “il grande capitale umano ed economico che milioni di madri, in questa ottica, possono offrire al Paese” e rivendicando “il diritto alla formazione e sostegno per queste donne, qualora volessero fare impresa o  auto-impresa”.

La Gasparrini si è poi rivolta lo scorso ottobre e poi nuovamente a gennaio alla ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo, per una richiesta d’incontro “sul superamento della  discriminazione che queste lavoratrici subiscono, e che il Ministro, nel suo ruolo istituzionale, può eliminare… Discriminazione legata  all’esclusione dal diritto alla formazione finanziata sia per gestire meglio il proprio ruolo di Family Manager, che per poter rientrare nel mondo del lavoro retribuito”.

Nessuna risposta, denuncia, “neanche per dire le faremo sapere, tanto  più che l’esclusione dalla formazione è incostituzionale – denuncia la Presidente – Ci volete casalinghe e basta? – domanda provocatoriamente – Nessuna donna vuole fare la casalinga a vita. Lasciamoglielo fare  quando serve. Poi – conclude – aiutiamola ad entrare nel mondo del  lavoro”.