Donne e finanza: gli investimenti privati raggiungono 300 miliardi di euro
Pubblicato il nuovo report Candriam-AIPB “Il valore della donna investitrice. Il contributo della consulenza finanziaria per superare gli stereotipi di genere”
L’impegno per ridurre il divario di genere arriva anche dal mondo della finanza grazie al report “Il valore della donna investitrice. Il contributo della consulenza finanziaria per superare gli stereotipi di genere”, presentato lo scorso giovedì in una web conference alla presenza di Elena Bonetti, ministro delle pari opportunità, di Maria Cecilia Guerra, sottosegretario di Stato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, e dell’onorevole Sabrina Pignedoli, deputata del Parlamento europeo.
La ricerca, realizzata da Candriam-AIPB in collaborazione con Ipsos e curata graficamente da Hub Editoriale, ha l’obiettivo di mettere in luce il crescente ruolo della donna nel settore della finanza privata per permettere una sempre più efficace espressione del suo potenziale.
Un modo di investire “al femminile”, dunque, non solo esiste ma ha anche larghi margini di crescita. Le somme investite da donne nel settore del private banking ammontano al 10% della ricchezza finanziaria privata complessiva del nostro Paese, con una percentuale che sale al 35% se si fa riferimento al solo segmento servito dal Private Banking. Insomma, le donne giocano una parte sempre più decisiva anche in ambito finanziario e conoscerne esigenze e pensieri può rivelare molto, soprattutto in questo momento storico.
Donne lavoratrici in tempo di Covid
Quella di valorizzare e coinvolgere le donne professioniste è un’urgenza espressa anche dal programma di governo del premier Draghi, ma oggi resta un doloroso nervo scoperto. Nel 2020, a causa del Covid, che ha colpito duramente alcuni settori dell’industria, sono stati persi 444mila posti di lavoro: di questi 312mila erano donne. Come mostrano i dati Istat 2020 sul mercato del lavoro, la pandemia ha fatto sprofondare il tasso di occupazione femminile, che già era tra i più bassi in Europa: 48,6% contro il tasso medio europeo del 62,4%. Solo nel mese di dicembre le donne che hanno perso il lavoro sono state 99mila su un totale di 101mila nuovi disoccupati. Di questi il 60% è giovane, cioè ha un’età inferiore ai 34 anni.
Il settore della finanza, in questo senso, è tra quelli in cui il divario di genere si fa sentire ancora molto, nonostante al suo interno l’apporto femminile risulti rilevante. Infatti, il peso delle donne nella detenzione dei patrimoni privati italiani fa sì che il comparto del Private Banking sia tra quelli maggiormente coinvolti nella riflessione sulla questione femminile.
I numeri dello studio Ipsos AIPB Candriam
Come spiega Antonella Massari, segretario generale di AIPB (Associazione italiana Private Banking), nelle premesse del report “il Private Banking gestisce quasi 1/3 del risparmio delle famiglie italiane, di cui circa 300 miliardi di euro fanno riferimento a donne, decisori finanziari individuali o capofamiglia che gestiscono il patrimonio finanziario familiare”.
Una cifra considerevole che è anche un primo indicatore per superare lo stereotipo secondo cui la gestione dei grandi fondi sarebbe riservata solo ai membri maschi della famiglia. Le donne che in Italia dispongono di ingenti risorse (almeno a partire dai 250mila euro) e che occupano posizioni di rilievo nei sistemi sociali ed economico-finanziari del Paese, sono un modello per tutte coloro che vogliono emergere e per le professioniste che insieme contribuiranno a innescare un circolo virtuoso di rilancio economico e di abbattimento progressivo del gender gap. Se questa ripartenza può trovare nel risparmio privato un valido sostegno, le investitrici possono dare un contributo assai rilevante, motivo per cui vanno protette e rese più rappresentative.
Il profilo della donna investitrice: indipendente, laureata e impegnata
Dal report Ipsos AIPB Candriam risulta che le donne “di alto profilo”, ossia con disponibilità patrimoniale ampia, rappresentano lo 0,2% della popolazione femminile adulta (contro l’1% della popolazione maschile). Si tratta di una cerchia di donne (circa 60mila) che per caratteristiche e comportamenti contribuiscono a ridurre i luoghi comuni sulla questione gender: sono imprenditrici, libere professioniste, dirigenti, persone impegnate politicamente e socialmente e abituate a gestire situazioni complesse. Hanno in media 52 anni, detengono due o tre lauree e in buona parte dichiarano di essere interessate a investire soldi. La speranza è che sempre più donne possano unirsi a questa schiera di professioniste indipendenti.