“Il business è fatto anche di valori inattaccabili. Da qui la mia presa di posizione contro Il Sole 24 ore dopo il caso Genovese”
“Una decisione presa d’istinto, perché ci sono valori intoccabili, che vanno ben oltre qualsiasi logica di business”. È così che Federica Tisato, general manager dell’azienda veronese Sismaitalia, spiega la sua forte presa di posizione nei confronti de Il Sole 24 Ore. Tisato ha infatti deciso di ritirare le inserzioni sulla testata nazionale come reazione al contestato articolo – poi modificato dalla stessa redazione – su Alberto Geneovese, fondatore di Facile.it e accusato di violenza sessuale nei confronti di una diciottenne, in cui ci si concentrava più sullo stop che le indagini avrebbero imposto al suo business piuttosto che sul suo comportamento etico.
Lei ha preso una posizione forte, comunicata con un post su Linkedin, dopo aver letto il pezzo in cui l’imprenditore era definito un “vulcano di idee” costretto a fermarsi dopo la denuncia della vittima. Ci vuole raccontare come è andata?
Partiamo da un presupposto: io sono inserzionista de Il Sole 24 Ore e, occupandomi di industria, la ritengo la mia testata di riferimento. Proprio mentre stavamo programmando un nuovo investimento, mi sono imbattuta in quell’articolo e, sono sincera, ne sono rimasta di puro istinto disgustata. Mi sembrava impossibile che venisse valorizzato l’aspetto imprenditoriale di fronte a una violenza, che quasi non veniva menzionata. Di fatto, venivano spostati in maniera grave tutti i valori in cui credo – etica e morale in primis – che ritengo centrali quando faccio impresa. E allora ho agito in maniera istintiva: non è stato qualcosa di preordinato o una scelta di marketing, ma di molto più profondo.
È la prima volta che la sua azienda prende una posizione così forte?
Sì, e proprio perché in questa occasione mi sono sentita tradita da un mezzo di comunicazione che ha sempre rappresentato in maniera corretta il mondo dell’industria, delle Pmi e di ciò che ci gira intorno. Un mondo in cui credo che i valori importanti esistano.
Voi, come azienda, portate avanti politiche specifiche in questo senso?
Certo, come normale meccanismo interno. E ci attiviamo concretamente perché questo sia parte integrante del nostro modo di intendere il lavoro.
Ci può fare un esempio?
Uno per tutti: abbiamo assunto una donna che era stata vittima di violenza e abusi, non tanto per le caratteristiche specifiche del ruolo che sarebbe andata ad occupare, ma perché al momento del colloquio aveva evidenziato un’etica e dei principi in cui ci riconosciamo.
La tematica dell’utilizzo da parte dei media di termini impropri per descrivere episodi di violenza sulle donne è vasto e attuale. Quale ruolo possono avere secondo lei i brand e le aziende nell’educazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica?
Mi sono resa conto adesso, dopo la forte risonanza che ha avuto la mia presa di posizione, di quanto sia importante che il brand si esponga e porti avanti una battaglia in questa direzione. Io l’ho sempre fatto in azienda, pensando che fosse una cosa comune e condivisa in tantissime altre realtà, e forse per questo non ho mai pensato di dovermi schierare in prima persona in maniera eclatante. Oggi, dopo innumerevoli messaggi, ho capito invece che è il momento che le imprese si riorganizzino anche per portare avanti questo tipo di massaggi. Sono convinta che esistano dei baluardi che non devono essere distorti a favore del business, dei valori sacrali che non possono essere messi in alcun modo in discussione. È il momento di agire, di portare il brand e le persone ad esporsi. I tempi sono maturi e la dimostrazione è che tutti, in azienda, mi hanno supportata e appoggiata.
A proposito del forte supporto: le sono arrivati sul profilo Linkedin molti messaggi di solidarietà per il suo gesto. Qual è quello che l’ha colpita di più?
Mi hanno colpito in particolare quelli al femminile, perché mi sembra che dicano tutti la stessa cosa, ovvero: tu che puoi, tu che puoi prendere una posizione precisa in questo senso, fallo. Da qui la percezione che le donne non si sentano sempre libere di potersi schierare contro certi atteggiamenti.
Da cosa crede che derivi questo atteggiamento?
Dal fatto che ci siamo assuefatti a una sorta di distorsione quando si parla di impresa. Mi spiego meglio: tante imprese vivono il lavoro e danno centralità al lato umano esattamente come facciamo noi. C’è il business, certo, ma contano anche i valori e non possiamo accettare che pochi esempi negativi si trasformino nel paradigma per descrivere il mondo dell’impresa. Diciamo chiaramente che tanti imprenditori sono adeguatissimi nel fornire benessere a livello lavorativo e umano e nella capacità di creare opportunità che hanno una ricaduta importante su tutta la società; ma allo stesso tempo, se qualcuno delinque, diciamolo altrettanto chiaramente. Ha il dovere di farlo chi lavora nelle imprese, così come i mezzi di comunicazione che il mondo imprenditoriale rappresentano.
Tra i tanti messaggi di stima, ne ha ricevuti anche di contrari alla sua iniziativa?
Sembra incredibile anche a me, ma no, nemmeno uno. E, a proposito, ecco un’altra cosa che mi ha colpito, che mi è stato riconosciuto coraggio. Ma quale coraggio? Ho solamente sostenuto un’ipotesi al cento per cento legittima. Forse c’è ancora troppa paura di esporsi di fronte a quelli che sono giudicati colossi, come se potesse succedere qualcosa, ma è un problema che non esiste. E anche su questo è necessario lavorare.
In qualità di donna e imprenditrice, che cosa vorrebbe dire alla community di Donne.it sul tema dell’utilizzo consapevole delle parole?
Come manager posso dire che puntare su un linguaggio adeguato e sulle giuste modalità di confronto paga anche nella quotidianità. Dovremmo imparare, in ogni situazione, a portare avanti la nostra idea senza paura, ad avere quella tranquillità di esporci senza che questo sia considerato pericoloso. Non lasciamoci coinvolgere da un linguaggio e da una comunicazione bassa e volgare. Con il linguaggio giusto, anche i pensieri prendono forma in maniera corretta, a vantaggio di tutti.