L’infibulazione femminile, un fenomeno da combattere
La mutilazione genitale femminile è purtroppo ancora diffusa in molti Paesi
L’infibulazione femminile è un fenomeno odioso, che incide in maniera pesante sul corpo e la psiche delle donne, derubate della loro dignità.
È uno degli atti più traumatici che possa essere commesso su una bambina o una ragazza, eppure continua a essere tristemente d’attualità.
L’infibulazione è la forma più radicale di mutilazione genitale femminile, una procedura diffusa in particolar modo nell’Africa Subsahariana ma che, a causa dell’immigrazione, è diventata nota anche in Europa.
È molto complicato capire le ragioni alla base di questa pratica: dove viene ancora utilizzata, la si consiglia come un sistema per mantenere intatta l’illibatezza della donna, ma ci sono altri motivi sociali, culturali e religiosi difficili da comprendere.
Cos’è l’infibulazione e come avviene
Si tratta di un’operazione particolarmente brutale e invasiva. Vengono infatti asportati il clitoride (escissione), le piccole labbra e parte delle grandi labbra vaginali (con cauterizzazione); poi si continua con la cucitura della vulva, lasciando aperto soltanto un foro per consentire la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale.
Ma a cosa serve l’infibulazione e, più in generale, perché si pratica la mutilazione genitale femminile? Prima di tutto, è un modo per impedire gli atti sessuali prima del matrimonio. Nelle culture che la applicano, infatti, è solitamente proprio lo sposo a occuparsi della defibulazione.
Secondo quanto sottolineato sul portale del Parlamento europeo, la procedura è poi strettamente connessa alle tradizioni del popolo di appartenenza e alla pressione sociale. Inoltre talvolta è legata a un’ideale di bellezza e di purezza della donna.
Mutilazione genitale femminile: la diffusione del fenomeno
Sempre secondo il Parlamento, il fenomeno è diffuso in una trentina di Paesi africani e mediorientali. Ma questi non sono gli unici Stati in cui è presente il problema. Si registrano infatti episodi anche in alcune aree del Sud America, ad esempio in Perù e Colombia, e in alcune nazioni asiatiche.
Come riportato sul sito del ministero della Salute, l’Organizzazione mondiale della sanità stima che oltre 200 milioni di donne sono state sottoposte a mutilazioni genitali nei territori in cui la pratica è ancora in vigore. Sono tre milioni le ragazze a rischio ogni anno, soprattutto sotto i 15 anni di età.
Il fenomeno, però, si riscontra anche nel Vecchio Continente: oltre 600mila donne che vivono in Europa hanno subito tale operazione (60-80mila delle quali abitano nel nostro Paese), mentre ben 180mila sono a rischio in 13 Stati.
Stando a quanto denunciato da Elisabetta Aldrovandi, garante della Lombardia per la tutela delle vittime di reato e presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, in Italia sono in pericolo circa 4.600 bambine, soprattutto di nazionalità somala. Si rileva comunque una crescente presa di coscienza di questo fenomeno, considerato sempre più come una vera e propria barbarie.
Ad ogni modo, è bene ricordare che l’infibulazione femminile in Italia è vietata e chiunque la pratichi è punito con la reclusione dai 4 ai 12 anni; la pena è aumentata di un terzo se viene compiuta su una minorenne.
Le conseguenze dell’infibulazione a breve e a lungo termine
In generale, secondo quanto indicato dall’associazione Aidos, le mutilazioni genitali femminili provocano conseguenze gravissime per la salute, sia nell’immediato sia nel lungo termine. La più comune, nel momento dell’atto, è ovviamente l’emorragia: l’amputazione del clitoride può infatti comprendere la resezione dell’arteria dorsale.
L’utilizzo di strumenti non sterili, la mancanza di igiene e la minzione sulle ferite da parte delle bambine – spesso legate durante l’operazione – possono poi provocare infezioni. Queste attaccano l’utero e le ovaie, generando disturbi fastidiosi. Inoltre, a causa dell’imperizia e delle complesse condizioni in cui vengono effettuate le infibulazioni, le lesioni dei tessuti adiacenti sono all’ordine del giorno. Un altro rischio ricorrente è quello di contrarre il tetano e, nei casi peggiori, altre malattie veneree.
Le conseguenze a lungo termine sono altrettanto gravi. Si va dalle infezioni del tratto urinario, che possono diventare croniche a causa della mutilazione, all’incontinenza, se l’uretra viene danneggiata durante l’operazione.
Le infezioni pelviche croniche sono comunissime: la parziale occlusione della vagina e dell’uretra aumenta notevolmente la probabilità di sviluppare tali disturbi. Sono numerose anche le donne che rimangono sterili.
Nei casi più gravi si sviluppano problemi durante le mestruazioni, a causa della parziale occlusione dell’orifizio vaginale, ma anche durante la gravidanza, visto che il tessuto cicatrizzato negli anni può impedire, anche una volta eseguita la defibulazione, la dilatazione corretta del canale del parto.
Infine, non vanno dimenticate le pesanti ricadute dal punto di vista psicologico e prettamente sessuale, che vanno a minare l’equilibrio mentale delle persone.
Per questo motivo è fondamentale combattere questa pratica barbara, anche se la battaglia è complessa. Le istituzioni, come il Parlamento europeo, e le associazioni del terzo settore si stanno già muovendo, in modo da ridare nuova dignità all’essere donna in tutto il mondo.