Intervista a Beatrice Rigoni, prima rugbista italiana tra le 15 migliori giocatrici al mondo per il World Rugby

“È difficile giocare a uno sport in cui ti impegni come una professionista, ma non lo sei. Non si può vivere di rugby. Alcuni ragazzi ci riescono, ma per le giocatrici è impossibile”.

Parlantina schietta, talento cristallino e la consapevolezza di dover lottare ogni giorno per aprire la strada alle prossime generazioni sportive. Beatrice Rigoni, classe 1995, è un’atleta d’eccezione e un orgoglio nazionale per il rugby femminile italiano: è la prima rugbista italiana ad essere stata inserita fra le 15 migliori giocatrici al mondo dal «World Rugby», l’organismo internazionale di riferimento per questo sport.

Ma il prestigioso riconoscimento è solo l’ultimo strepitoso risultato di una carriera in essere che già annovera: tre scudetti con la Valsugana Rugby, la partecipazione al mondiale in Irlanda nel 2017, lo storico secondo posto nel Sei Nazioni del 2019 e la qualificazione alla Coppa del Mondo che si disputerà in Nuova Zelanda nel 2022.

 

Oggi sei la trequarti di riferimento del tuo club e della nazionale. Ma come è nata la passione per il rugby?

Ho cominciato a frequentare l’ambiente da tifosa, quando ero piccolissima. Ho visto i miei fratelli giocare. Mi sembrava uno sport fantastico, in cui potessi fare tutto ciò che volevo. Non credo di essere stata io a scegliere il rugby, è lui che ha scelto me! Appena ho compiuto sei anni, ho implorato mia madre di iscrivermi e non ho più smesso. Questa è la mia 20esima stagione consecutiva.

 

Come hai lavorato per costruire la tua carriera così ricca di risultati?

All’inizio sei piccola e non pensi alle cose importanti che potrebbero succederti. Almeno io non avrei mai immaginato di andare in nazionale. Semplicemente mi divertiva giocare e mi piaceva farlo. Poi crescendo mi sono confrontata con realtà sempre più competitive e ho acquisito più consapevolezza di ciò che volevo fare. Inoltre, ho avuto la fortuna di giocare con squadre e allenatori che mi hanno aiutata a crescere ed evolvere. Quando nel 2017 ho avuto l’opportunità di disputare il Mondiale, mi sono confrontata con le giocatrici migliori e ho potuto toccare con mano quel livello altissimo: questo mi ha spinto a dare tutto ciò che avevo, per diventare come loro.

 

Quanto è stato emozionante ricevere il riconoscimento del World Rugby ed essere stata nominata nel Dream Team del 2021?

È stata una bella botta! Il premio è stato assegnato a me, ma è il frutto di un lavoro collettivo. Durante la pandemia il campionato nazionale era fermo, c’erano solo le partite internazionali. Io mi sono allenata con altre 30 ragazze e 20 di queste non avrebbero giocato, ma si sono impegnate tanto quanto me. Di fatto, ogni compagna di squadra mi ha aiutata. È il bello di questo sport: è un dare e avere reciproco e costante.

Sicuramente però a imprimere una vera svolta nella mia carriera è stata Paola Zangirolami, già pedina importante della nazionale e del mio club. Lei mi ha sempre spronata ad affrontare la vita da atleta al meglio.

 

Sappiamo che in Italia lo sport principe è il calcio e le altre discipline faticano a uscire dal cono d’ombra. Cosa ne pensi: oggi si vive di sport?

Tutte le ragazze in Italia fanno fatica a vivere solo grazie all’attività agonistica, a meno che non appartengano a dei corpi sportivi. Dall’anno scorso 15 atlete di interesse nazionale ricevono una borsa di studio da parte della Federazione e, sicuramente, questo è un primo passo. Spero che una ragazzina che si approccia adesso al rugby possa in futuro essere più tranquilla nel praticare questo sport fino in fondo.

Oggi però in ognuna di noi c’è la consapevolezza che è complicato riuscire a incastrare il rugby nella vita quotidiana. Io sono fortunata perché studio ancora e posso contare sul supporto dei miei genitori. Ci sono tante ragazze invece che lavorano e devono prendere ferie o permessi. È difficile giocare a uno sport in cui ti impegni come una professionista, ma non lo sei. Non si può vivere di rugby. Alcuni ragazzi ci riescono, ma per le giocatrici è impossibile.

 

Ci sono quindi delle differenze rispetto ai colleghi maschi?

Dal punto di vista legislativo neanche loro sono professionisti, però l’interesse anche economico che ruota intorno ai giocatori è più grande, rispetto a quello che gira attorno a noi sportive. Alcune società di serie A riescono a dare un rimborso ai propri atleti, cosa che nel settore femminile è praticamente impossibile. Di certo, rispetto a quando ho cominciato, oggi siamo avanti anni luce: grazie ai risultati che abbiamo conquistato e anche ai social che ci danno una mano, adesso le persone si accorgono che ci siamo anche noi atlete e le cose iniziano a girare un po’. Sono consapevole però che sia un processo lento e continuo.

 

Ti sei mai sentita discriminata?

Nella mia famiglia il rugby non è mai stato visto come uno sport femminile o maschile ma alla pari. Quindi io sono stata abituata a vederlo così e mi sono sempre circondata di persone che la pensassero come me. Poi però quando mi sono rapportata con il mondo esterno, è capitato che ci fossero delle perplessità.

Se potessi cambiare una cosa nell’immediato? L’abbigliamento tecnico! Dovrebbe essere più adatto alle giocatrici. Ora ha un taglio maschile. Perciò a noi atlete sta gigante. Ovviamente ci sono problemi più grandi da risolvere, però anche questo fa parte di una rivoluzione che speriamo di portare avanti un passo alla volta.

 

Hai un consiglio per una ragazzina che ti vede come un modello e vorrebbe intraprendere il tuo stesso percorso?

Innanzitutto vorrei poter essere un esempio anche per un ragazzino. Mi piacerebbe essere un riferimento per tutti. Ma se una bambina mi chiedesse un consiglio, partirei da qui. Di solito si dice: “Non giocare a rugby, perché diventi poco femminile”. Purtroppo così finiscono in secondo piano altri aspetti più importanti: quanto potrebbe crescere la tua autostima? Quanto potresti diventare più determinata, precisa e paziente? Quanto è bello poter contare su un compagno o una compagna di squadra? È importante porre l’attenzione sulle cose davvero fondamentali che ti succedono quando giochi a rugby!