Intervista a Isabella Mandelli, Amministratore delegato di una multinazionale

Intervista a Isabella Mandelli, Amministratore Delegato di una multinazionale in ambito medicale

Intervista a Isabella Mandelli

Carismatica e brillante, Isabella Mandelli, Amministratore Delegato di una grande azienda multinazionale che opera in ambito medicale, mette sulla tela tutta la sua energia mentre riscrive le regole della leadership aziendale.

L’abbiamo conosciuta all’ultima edizione del TedxCortina. Il suo segreto? Mai lasciare spegnere la propria scintilla, perché l’errore non esiste, se tutto si trasforma in una creativa opportunità di crescita.

Amministratore Delegato di una grande azienda multinazionale che opera in ambito medicale e anche artista: ma come fai a trovare il tempo per fare

Me lo chiedono in tantissimi! Io ho sempre tante energie positive. Quando mi focalizzo sulla parte lavorativa come Amministratore Delegato, devo essere sempre sul pezzo per affrontare tutte le sfide quotidiane. Poi c’è la mia parte artistica: mentre creo i miei fantasiosi Barabubbles (una coloratissima schiera di personaggi onirici tra cui Barabà, Oco, Finolu e Boda, Ndr) non devo pensare. Tant’è che, alcune volte, durante le conference call io dipingo, perché è un modo per concentrarmi ancora di più!

Di fatto l’arte mi fa sentire libera e mi dà grande soddisfazione, così raggiungo un bilanciamento. Il giusto equilibrio. Fino a qualche tempo fa tenevo queste miei due parti separate, poi ho imparato a mostrare agli altri anche il mio lato artistico. Ho superato la vergogna e ho espresso tutta me stessa, le mie emozioni e anche la mia vulnerabilità. Questo mi ha permesso di essere la persona che sono ora, anche dal punto di vista aziendale. Ho portato “la mia scintilla” sul lavoro, ho permesso agli altri di conoscermi davvero e loro sono andati oltre i pregiudizi.

Quali sono le caratteristiche essenziali per avere una buona leadership?

Purtroppo siamo abituati alla leadership del passato: quella maschile, dura e rigida. Quel modello è un po’ superato. Oggi si parla di intelligenza emotiva e anche di creatività. Perché nell’ambito lavorativo devi essere razionale, ma anche propenso all’ascolto degli altri e aperto alla creatività per crescere e fare cose nuove, portando sempre la tua scintilla. Io ho cercato di inglobare tutti questi aspetti.

Perché sostieni che “l’errore non esiste”?

Sul lavoro incoraggio sempre le persone a sentirsi libere e a esprimersi davvero fino in fondo. Togliendo il giudizio, l’errore non esiste. Quando una persona sbaglia, se ne accorge. Quindi è inutile punirla e accanirsi nel sottolineare le sue mancanze.

Per questo motivo, nel mio team nessuno può dire “Ho fatto un errore”. Noi lo chiamiamo: “idea propulsiva incrementale”. Perché, esattamente come nell’arte, da qualcosa di sbagliato o imprevisto può nascere qualcosa di nuovo e innovativo.

Se noi togliamo il senso di colpa, le persone si sentono accolte – che è la cosa più importante – e si lasciano andare, quindi non hanno più il timore di esprimere le loro idee.

Hai una carriera eccezionale come leader d’azienda in multinazionali di grande rilievo: ci racconti il tuo percorso professionale?

Io non avevo assolutamente idea di che cosa volevo fare e di dove volevo arrivare. Ho origini umili e ho sempre lavorato per potermi permettere gli studi. Io sarei stata contenta di fare la segretaria. Poi mi sono resa conto che quella non era la mia strada: non sono molto portata per i dettagli! Quindi ho scelto di laurearmi, per avere la giusta apertura mentale.

Ho preso la laurea mentre lavoravo in un centro commerciale. Un giorno mi hanno chiamata per un impiego nel settore vendite di una grande catena di distribuzione, dove i miei colleghi erano tutti uomini. Molto competitivi. Dopo tre mesi sono stata licenziata, dissero che non sapevo vendere.

Poco tempo dopo ho ricevuto un’altra proposta di lavoro da una piccola azienda. Mi dissero: “Vuoi provare a vendere?”. Risposi: “Mi hanno appena detto che non sono capace, però ci provo!”. Alla fine del primo anno avevo già raggiunto dei risultati molto importanti. Ci mettevo tantissimo impegno: per me lavorare era un motivo di riscatto sociale. Mi piaceva il fatto di essere una donna indipendente a livello economico, perché non dovevo chiedere nulla a nessuno.

Da lì tutto ha preso il via finché, all’età di 36 anni, mi hanno chiamata in una multinazionale (la prima del mio percorso), per fare il venditore junior. Quindi la mia “vera carriera” è iniziata a 36 anni! Questo è strano, è tardissimo rispetto agli standard in questo settore. Invece io ho cominciato a crescere sempre di più a livello professionale.

È più facile rompere il soffitto di cristallo in contesti lavorativi internazionali?

Nell’ambiente delle multinazionali mi sono trovata sempre bene. Ho avuto la possibilità di confrontarmi con tante persone. Questo mi ha fatto proprio crescere e ha ampliato i miei orizzonti. Mi è sempre piaciuta la complessità di queste realtà.

Considerando quindi la mia esperienza, il consiglio che posso dare alle ragazze più giovani è non abbiate paura, perché valete tantissimo! Spesso noi donne ci sottovalutiamo e ci poniamo dei limiti, così lasciamo sempre andare avanti gli uomini.

Come l’arte ti ha aiutata a diventare una buona leader?

Durante i miei speech in giro per il mondo, dove attraverso la mia arte aiuto ad esprimere la leadership che c’è in ognuno di noi, invito sempre tutte le ragazze a smettere di sentirsi inadeguate. C’è una parte emozionale sempre molto forte in noi ed è esattamente quella che ci fa fare la differenza! Dobbiamo raggiungere gli obiettivi attraverso la componente razionale, certo, ma lasciamo comunque spazio alla nostra vulnerabilità, alla nostra fragilità, alle nostre emozioni. Questa è la scoperta che io stessa ho fatto attraverso la mia arte.

Il mio approccio “artistico” mi ha permesso di raggiungere ottimi risultati e io ho scelto di avere una leadership “gentile”:

  • non avere un atteggiamento rigido e duro;
  • mai alzare la voce;
  • ascoltare e avere rispetto per il prossimo.

Io mi fido delle persone con cui collaboro, quindi le lascio libere di trovare il loro equilibrio. Spesso le invito a dedicarsi allo sport anche durante l’orario di lavoro. Certo, mi assumo il rischio di questa scelta. Ma poi i risultati arrivano, perché ci affidiamo gli uni agli altri.

Per questo stesso motivo, ho sempre voluto “abbassare le gerarchie”: ovviamente quando si tratta di grandi decisioni, mi assumo io ogni responsabilità, perché è giusto che sia così. Però “ridurre le distanze” e dare il benvenuto di persona a ogni nuova risorsa per me è importante.

Seguendo questa filosofia, metto subito in chiaro che a me non interessa “imporre la via” anzi spingo sempre i miei collaboratori a “distruggerla” perché, se tutti sono liberi di esprimersi, possono emergere più idee.

Come dirigente ha pensato anche a delle strategie per supportare le lavoratrici che fanno parte del tuo team?

Durante il periodo del lockdown facevamo tantissime conference call, quindi spesso c’erano le mie colleghe con figli che andavano un po’ nel panico o spegnevano la telecamera, quando c’era qualche piccolo imprevisto legato ai piccoli. In questi casi le ho sempre invitate a non preoccuparsi e, anzi, a tenere accesa la telecamera, per creare un momento di condivisione senza troppo stress.

La priorità sono sempre le persone, quindi tutti i genitori che lavorano devono potersi occupare dei figli in modo sereno. Non è necessario sacrificarsi troppo per il lavoro, bisogna essere flessibili e trovare il giusto equilibrio. E questo vale anche per chi non ha figli!

Per quanto riguarda invece la questione del “gender gap”, cerco di fare la mia parte aiutando le lavoratrici. Ovviamente le competenze sono essenziali però, a volte, capita che alcune potenzialità restino inespresse per timidezza o timore. Perciò io cerco di conoscere, ascoltare e capire davvero le ragazze più giovani, che infatti sono numerose nel mio team!

Spesso le donne che occupano posizioni di leadership in ambiti aziendali sono vittime di pregiudizi: ti sei mai sentita discriminata?

Sono una delle poche Amministratrici Delegate in Italia nel settore del medtech e del pharma, gli altri sono tutti uomini. È giusto avere delle politiche aziendali contro la discriminazione. Per me contano le competenze e l’attitudine delle persone al di là del genere.

Io non mi sono mai sentita discriminata, però a volte capitano delle situazioni che mi fanno sorridere: come vedere l’attimo di smarrimento che prova l’ interlocutore quando, dopo essersi subito relazionato con un mio collega maschio, scopre invece che io sono “il capo”!

Noi donne dobbiamo andare oltre i pregiudizi e comportarci da professioniste, per educare la società. Di certo c’è un gap anche culturale che va colmato, io cerco di farlo attraverso la mia leadership e la mia arte.