Intervista a Karen Ricci, autrice del libro “Cara, sei maschilista!”
Oltre 45mila like su Facebook, 28mila follower su Instagram, un podcast imperdibile e ora anche un libro edito da Fabbri Editori. Il successo di Cara, sei maschilista! è travolgente, perché parte da un’idea brillante: svelare come, spesso, siano proprio le donne a riprodurre la cultura patriarcale. A raccontarci l’origine di uno dei progetti social femministi più riusciti, è proprio la sua ideatrice: l’attivista Karen Ricci.
Ci racconta un po’ della sua storia, Karen, e di come è nato il progetto “Cara, sei maschilista!”?
Sono italo-brasiliana e da 15 anni vivo a Milano e questo mix di culture mi ha sempre dato la possibilità di avere uno sguardo curioso verso il mondo che mi circonda, oltre che aver sempre avuto un senso critico molto sviluppato verso le dinamiche sociali e le ingiustizie.
In particolare, avendo subito in prima persona, come la stragrande maggioranza delle donne, tante discriminazioni, molestie e pregiudizi conseguenti alla cultura sessista, sono sempre stata molto attenta ai temi legati alle disparità di genere.
Sono venuta in Italia per studiare e lavorare nel settore della moda e del design, settori nei quali ho sviluppato la mia carriera e tutt’ora continuo a farlo, però nel 2013 ho capito che non bastava che io trovassi la mia strada verso l’emancipazione se intorno a me continuavo a vedere una società che rendeva difficile la vita delle donne in ogni ambito.
Certamente non ho mai pensato che gli uomini fossero superiori alle donne, come ci vuole convincere la società maschilista in cui viviamo, ma mi sono accorta che in qualche modo anche io (come tante donne che conoscevo) tramandavo credenze e comportamenti che corroboravano le dinamiche sessiste, trattenendo le donne verso la parità di genere.
È stato così che ho creato una pagina Facebook e ho deciso di condividere delle frasi che potevano sembrare innocue, ma erano invece strumenti per confermare questa cultura. Frasi come “Le donne sono le peggiori nemiche une delle altre”, “Con chi sarà andata a letto per arrivare in quella posizione lavorativa” e tantissime altre frasi fatte che siamo abituate a ripetere sono state il punto di partenza per un auto riflessione, e per invitare altre donne a interrogarsi sull’origine di questi stereotipi per poter finalmente lasciarseli alle spalle.
Le frasi pubblicate dalle donne sui social a volte riproducono la cultura maschilista: perché questo accade?
Siamo nate e cresciute in una società maschilista, dove il diktat della donna accettabile socialmente è stato determinato dai maschi (brava moglie, brava madre, portata alla dedizione per la famiglia, al lavoro di cura, dolce, gentile e carina). Le donne sono state invitate a controllare che le altre rispettassero questo manuale di perfezione con la minaccia che, se non l’avessero fatto, sarebbero a loro volta state giudicate, marginalizzate ed escluse dalla società.
Può sembrare un argomento antico o superato, però se ci chiediamo che spazio abbiano le donne che scelgono strade alternative, vediamo che ancora la nostra società fatica a vedere con di buon occhio una donna che non si sposa, che decide di non avere figli, che mette in primo piano la propria carriera o che vive liberamente la sessualità.
Le donne continuano a riprodurre questi stereotipi perché si sentono al sicuro, dietro l’approvazione maschile e sociale, allontanandosi dalla figura della donna ribelle si ha la falsa sensazione che quei giudizi spietati e la violenza non le raggiungerà. Tuttavia, nella pratica non è proprio così, nessuna è libera di pregiudizi, discriminazioni e violenza.
Ci fa un identikit delle “donne maschiliste”?
Tutte noi riproduciamo la cultura maschilista.
Lo facciamo quando giudichiamo una donna per il modo come si veste, mettendo al primo piano il suo aspetto fisico a discapito della sua personalità.
Tramandiamo la cultura maschilista quando siamo più tolleranti verso gli errori maschili e siamo spietate nel giudicare le donne.
Lo facciamo quando diciamo di essere diverse dalle altre donne, intendendo che l’universo femminile sia un tutt’uno fatto di superficialità e frivolezze.
La lista è lunga, ma credo che nessuna donna possa dirsi completamente libera da tutti questi stereotipi che abbiamo imparato in famiglia, nei libri, nei film, nella TV.
Che differenza c’è tra un commento social fatto da una donna maschilista e quello di una hater?
Credo che la differenza sia il tenore del contenuto del messaggio che si vuole
trasmettere. Essere o non essere maschilista non determina il carattere di una persona, purtroppo è una condizione culturale, stimolata da dinamiche sociali molto diffuse e nella maggior parte delle volte non ce ne accorgiamo nemmeno, poiché sono tradizioni radicate che poche volte sono state messe in discussione.
Per questo motivo è importante fermarsi a riflettere su come anche noi mettiamo in atto comportamenti sessisti.
Secondo lei in Italia c’è un problema di rappresentazione delle donne da parte dei media o è il modello educativo a essere patriarcale e sessista?
Credo che le due cose siano direttamente collegate. L’industria culturale è dominata da una visione maschile e patriarcale, in cui le donne sono rappresentate come oggetti di decorazione mentre gli uomini sono quelli che hanno qualcosa di importante da dire.
E anche quando abbiamo figure femminili pensanti, esse devono comunque performare una femminilità ben precisa per quanto riguarda l’aspetto fisico, cosa che non succede mai alle figure maschili.
Se aggiungiamo un modello educativo che vede la figura materna come l’unica responsabile di tutto il carico mentale e di lavoro per la cura familiare, diventa difficile liberare le donne da un modello preciso con funzioni ben determinate: riprodursi, prendersi carico del welfare sociale e abbellire il mondo, tutto il resto è contorno.
In effetti le donne sono raccontate nei media sempre in funzione del ruolo di madre (la mamma astronauta, la mamma soldatessa..), di moglie (fidanzata di, la prima dama) e di oggetto sessuale (la diva di, la bomba sexy, il corpo mozzafiato, le forme da urlo).
Il sottotitolo del tuo libro “Cara, sei maschilista!” recita “E se non accettassimo più gli stereotipi”: ma a chi spetta dire basta?
Questo è un esercizio che potrebbe partire da una riflessione individuale per poi diventare una pratica collettiva. Non possiamo aspettarci che non ci siano più discriminazioni lavorative per le donne in età fertile, se continuiamo a credere che sia solo la madre a doversi occupare dei bambini piccoli.
Questa presa di coscienza individuale ci porta poi a riconoscere questo come un problema sistemico e insieme pretendere dalla politica un congedo parentale uguale per uomini e donne, per esempio.
Certo che questa non è una responsabilità esclusivamente femminile, altrimenti stiamo ancora una volta lasciando il carico del cambiamento sulle spalle delle donne. Credo tuttavia, che essere consapevoli di quale ruolo ci sia stato designato in questa cultura sessista ci possa aiutare a rifiutarlo e a diventare soggetti attivi nella costruzione di una società più paritaria.
E lei è mai stata vittima di stereotipi o pregiudizi?
Certamente, e credo che chi dice di non essere mai stata vittima di stereotipi o pregiudizi sia molto distratta. Dall’educazione ricevuta dai miei genitori, con regole molto diverse tra me e i miei fratelli. Alla scuola che non faceva sforzi per incasellare le ragazze in luoghi comuni sessisti (alle ragazze danza, ai ragazzi sport per esempio). Via via crescendo le molestie per strada, nei luoghi di lavoro, le battute sessiste, gli inviti a stare calma, a non fare polemica. Gli stipendi più alti per i colleghi maschi, le interruzioni nelle riunioni. E potrei andare avanti…
Dopo i social, il podcast e ora anche un libro: il prossimo “obiettivo” del progetto Cara sei maschilista?
Vedo tante direzioni per il progetto Cara, sei Maschilista! Con il libro vorrei raggiungere uno dei più importanti: quello di arrivare alle persone che stanno fuori dalla cosiddetta “bolla femminista”. Questo è un argomento che mi piacerebbe si parlasse molto più spesso, al bar, in palestra, a scuola, nell’ambiente di lavoro, nelle trasmissioni TV. Credo sia molto importante riprendere i concetti del femminismo utilizzando un linguaggio semplice, parlando della vita quotidiana e rompendo questo muro tra teoria e pratica femminista.