Intervista a Sarah Malnerich e Francesca Fiore, autrici del blog Mammadimerda
“Dall’ironico blog Mammadimerda alla guida letteraria per diversamente performanti “Non farcela come stile di vita”: le attiviste e influencer Sarah Malnerich e Francesca Fiore si raccontano con piglio autoironico, sguardo attento e una consapevolezza: condividere il proprio insuccesso quotidiano può portare a vincere grandi battaglie collettive domani.
“You are not alone” è uno degli slogan del vostro blog mammadimerda.it. Sarah, ci racconti perché avete scelto di “condividere il disagio di non farcela”?
Non sei sola fu il titolo del nostro primo libro autoprodotto, che raccoglieva tutti i brani di tre anni di attività online. Noi abbiamo iniziato un po’ per gioco e un po’ per compensare quella parte di narrazione che ci sembrava mancasse, rispetto a ciò che noi stavamo vivendo come madri. E quella era proprio la frase più ricorrente che ci scrivevano le lettrici.
La nostra è una community vivacissima e super partecipativa. È cresciuta in modo organico ed autonomo. A volte anche da noi! E tutt’oggi, quando noi condividiamo le nostre esperienze, continuiamo a ricevere questo tipo di messaggi: “Grazie, non mi sento sola” o “Pensavo di essere l’unica”. E questo è l’emblema del disagio che le madri vivono, sin da subito.
Dopo la nascita di un neonato, si può provare un forte senso di inadeguatezza e anche di colpa: per questo motivo confrontarsi con qualcuno che prova gli stessi sentimenti è importante. Altrimenti una donna che ha di fronte solo fulgidi esempi e stereotipi schiaccianti di “super mamme”, può arrivare a credere di essere lei, sola, l’unica persona sbagliata.
Francesca, come è nata la vostra collaborazione?
Noi ci conosciamo da 20 anni. Io ho aperto il blog nel 2016. All’epoca avevo già due figlie, “le erinni”. Oggi hanno quasi 12 e 9 anni. Ho cominciato a scrivere per sublimare la depressione post partum con l’ironia. Nel tempo il progetto si è evoluto.
Inizialmente ci identificavamo entrambe come “MdM – Mammadimerda” poi però, abbiamo sentito la necessità di metterci la faccia e siamo arrivate su Instagram. Così negli ultimi due anni abbiamo cominciato ad andare oltre il blog, esponendoci e parlando in prima persona con gli utenti.
Francesca, chi sono le donne che appartengono alla vostra community e quali sono i temi o le difficoltà che scelgono di condividere con voi?
Con le donne che appartengono alla nostra community affrontiamo quotidianamente i temi che riguardano la condizione femminile. Facciamo tanto attivismo per migliorare la situazione, sempre con la nostra chiave ironica.
Quello che cerchiamo di fare è cambiare un po’ la cultura e dimostrare che non è scontato né dovuto che sia solo la donna a farsi carico di tutto. Servirebbero delle contromisure, soprattutto politiche. Perché se esistono i pregiudizi e il patriarcato introiettato dalle donne, è anche vero che sarebbero necessarie delle riforme strutturali integrate.
Nell’anno del Covid vi siete distinte come attiviste e avete portato avanti alcune battaglie importanti per il diritto all’istruzione, i diritti delle donne e la parità di genere. Sarah, ci racconti cosa avete fatto e perché?
Abbiamo portato avanti campagne per il diritto all’istruzione e per la scuola, e per la parità di genere. Siamo state cofondatrici insieme ad altre donne di un movimento per l’allocazione dei fondi di PNRR, per il superamento delle disparità di genere, attraverso investimenti in infrastrutture sociali e un welfare più equo e solido. Abbiamo presentato una petizione alla Camera con le richieste che ha raccolto più di 50 mila firme, abbiamo fatto rete e l’abbiamo allargata fino ad organizzare con altre donne flash mob in tutta Italia, e siamo state ricevute da due ministri.
Servono congedi di paternità obbligatori equiparati a quelli materni, serve un ampliamento e un consolidamento del welfare perché il welfare non è uguale per tutte. Bisogna continuare a rivendicare e a presidiare che i fondi vengano destinati a liberare il tempo e il lavoro delle donne.
Perché c’è un tema cruciale che riguarda il lavoro di cura non retribuito che ricade su di noi: anche se gli investimenti attualmente previsti per gli asili nido con il PNRR fossero sufficienti a garantire una totale copertura nazionale, e non lo sono, mancherebbe ancora un adeguato sistema di assistenza per i caregiver, cioè per chi si prende cura di una persona anziana, un genitore, un partner o un figlio malato. Compiti che, come dimostrano i dati, ricadono interamente sulle donne che rimangono “vincolate”. Si tratta di forza lavoro, e quindi occupazione femminile, che rimane ferma.
Ritenete quindi che le madri nel nostro Paese siano vittime delle aspettative e delle pressioni della società?
Spesso vengono lanciati grandi allarmi “Le donne non fanno figli!”. Eppure i dati ci dicono che una madre che mette al mondo un figlio, per i 15 anni successivi guadagnerà meno, rispetto ad una lavoratrice che ha fatto un’altra scelta. Rispetto ad un uomo arriviamo fino al 30% in meno. Tutto questo poi ha una ripercussione anche a livello pensionistico.
Dunque le donne devono ancora affrontare da “sole” le sfide per mantenere un equilibrio fra la sfera personale, familiare e lavorativa?
Il punto essenziale è che la donna deve poter scegliere. – spiega Francesca – Va benissimo restare a casa e prendersi cura degli altri, ma deve essere una scelta consapevole e non un “dictat”. Invece per alcune donne è l’unica strada percorribile.
Se l’asilo nido costa 500 euro al mese e non si hanno le risorse per coprire le spese, allora è inevitabile che una madre decida di restare a casa. Così però si agisce per necessità e non per scelta. In Italia gli effetti di tutto questo sono già visibili: non si fanno più figli e le proposte legislative, come l’assegno unico, non sono sufficienti per fare fronte ai bisogni delle famiglie. Così si nega anche il diritto di avere figli a chi li vorrebbe.
Oggi siete in libreria con il vostro nuovo libro “Non farcela come stile di vita”. Cosa significa essere “diversamente performanti” e perché avete realizzato questa guida?
Non farcela è una provocazione ironica ed è quasi un dovere in questo momento. L’asticella è troppo alta per noi donne, che dobbiamo assolvere a tutte le funzioni, come madri e come lavoratrici. Poi spesso affrontiamo anche i giudizi negativi della società, perché le nostre scelte – a differenza di quelle degli uomini – vengono costantemente messe sotto la lente di ingrandimento.
Dobbiamo abbassare le aspettative altrui e anche le nostre, per ridurre i sensi di colpa. Dobbiamo smettere di sforzarci di arrivare dappertutto: va bene fare anche meno, va bene essere meno performanti!