Intervista a Valentina Liberatore, Fondatrice della Onlus OncoBeauty
“In questo momento pensa a salvarti” dicono alle donne che lottano contro il cancro. Ma per Valentina Liberatore, fondatrice e presidente della Onlus OncoBeauty, “lottare per la vita non significa dover rinunciare a piacersi, perché anche nella malattia si ha bisogno di bellezza”.
In questa intervista Valentina ci racconta come la sua Associazione aiuti le donne ad affrontare un percorso terapeutico oncologico.
Chi sono le “donne in rosa” che OncoBeauty supporta e perché si chiamano così?
Una donna in rosa è una persona che nella sua vita ha incontrato il cancro, ad esempio con un tumore al seno o all’utero. Questi tumori vengono definiti “femminili” perché sono quelli che colpiscono maggiormente le donne (anche se il tumore al seno interessa anche gli uomini). Da questa distinzione deriva l’associazione con il colore rosa, che nell’immaginario comune designa tutto ciò che è femminile. Una donna in rosa è quindi una donna che ha affrontato o sta affrontando un percorso terapeutico oncologico.
Perché hai scelto di fondare OncoBeauty?
Perché anche io sono una donna in rosa. Era il 2019, quando a gennaio ho scoperto di avere un nodulo al seno a seguito di una mammografia. Ho cominciato a fare una serie di esami di controllo, ad esempio la risonanza magnetica e la biopsia, dai quali è emerso che si trattava di un tumore maligno. Dopo la diagnosi ho iniziato un percorso terapeutico oncologico e mi sono resa conto che non c’è ancora abbastanza sensibilità sui temi che riguardano l’aspetto fisico di una donna durante un trattamento così impegnativo.
A partire da questa evidenza ho pensato che fosse necessario fare di più e per questo è nata la Onlus OncoBeauty: una squadra di professionisti di diversi ambiti, ad esempio dermocosmesi oncologica ed estetica oncologica, che offrono servizi specializzati di benessere ed estetica alle donne in rosa.
Qual è l’obiettivo della Onlus?
L’obiettivo primario è accompagnare le donne che stanno lottando contro il cancro in un percorso di accettazione di sé attraverso varie attività. Ad esempio, raccogliamo fondi per finanziare sul territorio romano gruppi di danza. In particolare proponiamo percorsi di pole dance (adattata alle esigenze delle pazienti), una disciplina che stimola i muscoli, permette di mettersi in gioco in modo leggero e aiuta a familiarizzare con la propria nuova femminilità. In ogni palestra ci sono molti specchi davanti ai quali allenarsi e riscoprire la propria immagine.
OncoBeauty prima di diventare una Onlus era un gruppo Facebook creato durante la pandemia. In che modo i social hanno aiutato le donne in rosa?
Grazie alla forza della community. Incontrare altre donne che come te stanno facendo la stessa esperienza e condividere sensazioni ed esperienze è importante.
Quando è scoppiata la pandemia, l’emergenza sanitaria ha fatto passare in secondo piano le necessità delle pazienti oncologiche. Le donne sono state lasciate sole sotto ogni punto di vista: hanno avuto difficoltà di accesso agli ospedali e si sono trovate con i centri estetici chiusi.
Allora ho fondato un gruppo Facebook di bellezza oncologica, dedicato a guidare le donne nella cura del proprio corpo in autonomia, grazie al supporto di professionisti specializzati.
Quanto è importante offrire un’assistenza psicologica adeguata?
Moltissimo. Per accettare di avere un tumore, delle sessioni di terapia “tradizionale” possono aiuta mentalmente a superare il trauma, ma chi ti aiuta poi a guardarti allo specchio e accettare di non avere più i capelli? Ci sono delle necessità pratiche che le donne si trovano ad affrontare, ad esempio: cosa fare quando si cominciano a perdere le sopracciglia? Dove acquistare e come scegliere una parrucca?
In OncoBeauty guidiamo le donne nella scelta dei prodotti cosmetici più adatti e diamo suggerimenti su come applicarli. Per una donna malata di cancro potersi truccare e sentirsi dire “quanto stai bene” è il primo passo per recuperare l’autostima. Questo aiuta a non allontanarsi dai rapporti sociali, che spesso vengono evitati.
ll sistema sanitario nazionale dà il giusto supporto alle donne in rosa?
Il supporto psicologico dovrebbe essere obbligatorio per le pazienti e per gli operatori sanitari dei reparti oncologici che accompagnano una donna in questo percorso. Ci sarebbe bisogno di una squadra di professionisti che segue la paziente fin dal momento dell’annuncio della diagnosi. L’assistenza psicologica dovrebbe essere inserita nel protocollo di cura, ma purtroppo non è ancora così.
Le donne in rosa sono vittime di pregiudizi?
A volte subentrano anche dei pregiudizi e si pensa che sia più importante guarire che truccarsi. Io sono una truccatrice e dermopigmentista professionista, ho lavorato nel mondo della medicina estetica e per me la cura dell’aspetto fisico è centrale.
Durante la mia esperienza da paziente mi sono accorta che si tende a dare priorità alla malattia. Prendersi cura della propria bellezza viene considerata una cosa frivola o un tabù e le donne si trovano a dover accantonare il desiderio di sentirsi belle.
Ma sentirsi bene e in armonia con se stesse contribuisce tantissimo al successo della terapia, perché il benessere fisico è collegato a quello psicologico. In ospedale ho visto alcune donne che subivano la chemioterapia come una violenza inaccettabile e questo non aiuta il corpo a dare la giusta risposta immunitaria.
Riprendere in mano la propria vita: quanto conta essere accompagnate in questa fase?
Quando una donna guarisce dal cancro, da un lato “perde” le persone di riferimento in ospedale, dall’altro è monitorata per i 5 anni a seguire con sessioni di follow-up. È in questo momento di transizione dalla malattia alla ripresa della vita normale che le donne hanno bisogno di assistenza. Molte donne dicono che è più facile guarire dal cancro che toglierselo dalla mente. Fuori dall’ospedale non sono molti gli specialisti ai quali rivolgersi.
Noi siamo lì: accogliamo le donne e diamo loro tutti gli strumenti per poter convivere con il loro trauma interiore e con i lasciti della malattia. Le aiutiamo a non cadere in depressione, ma a riprendere a vivere.
Raccontaci del progetto “Dance for the cure”, di cosa si tratta?
Il progetto nasce da un idea di Mara Gentile, danzaterapeuta che ha realizzato un laboratorio di danza gratuito per donne in rosa al fine di farle esprimere attraverso il corpo e la musica. Al termine di questi laboratori abbiamo deciso, in collaborazione con Komen Italia e con il Centro di terapie integrate in Oncologia, di realizzare un video che raccontasse il percorso di rinascita di una donna.
Noi di OncoBeauty abbiamo contribuito a realizzare, insieme ad un team di fotografe e videomaker, il video al quale ho collaborato personalmente in qualità di truccatrice per le danzatrici. Ospiti all’interno di Villa Torlonia, le donne hanno danzato su note di musica classica, rappresentando il mito dell’Amazzone. Ricordo una donna che arrivò con grande discrezione e molto imbarazzo. Camminava con le spalle chiuse, un’andatura tipica di chi ha subito un intervento al seno e tende a nasconderlo. Dopo aver finito il trucco e con l’abito di scena era un’altra persona: si è piaciuta così com’era in quel momento, senza rimpiangere quella che era stata.
Il progetto “Dance for the cure” è stato di recente presentato al Senato per dare valore alle “Arti Terapie” che possono contribuire al recupero delle persone affette da diverse patologie. Prossimamente realizzeremo una nuova edizione in un’altra location suggestiva e, dato il grande successo e l’utilità che ha avuto per le donne in rosa, ci piacerebbe avere un laboratorio permanente a Roma dove loro possano imparare a ballare per esprimere se stesse e le proprie emozioni. Per noi di OncoBeauty generare bellezza e benessere interiore è il più grande traguardo.