Lavoro di cura non retribuito: una questione di genere

Le differenze fra uomini e donne pesano ancora

Il lavoro di cura

Vivere in una comunità significa relazionarsi con gli altri e ascoltare le loro esigenze. Alcune persone, però, richiedono un’attenzione particolare. Chi presenta una condizione di fragilità – legata all’età, allo status sociale o alla salute fisica – necessita infatti di qualcuno che lo affianchi nella quotidianità.

Talvolta il ruolo di caregiver viene ricoperto da figure professionali, che operano all’interno di una struttura sanitaria o educativa: in questo caso viene riconosciuto loro un compenso regolare. Al contrario, le attività inerenti il lavoro di cura svolto tra le pareti domestiche – per quanto importanti – non prevedono una retribuzione.

Si tratta di un problema complesso, che si riflette anche nel dibattito politico e istituzionale. Tra i nodi che emergono c’è quello della disuguaglianza di genere. Come riportato dal rapporto Care work and care jobs for the future of decent work dell’International Labour Organization, infatti, sono quasi sempre le donne ad occuparsi dei loro familiari e a fare assistenza ai parenti con disabilità, sebbene il loro sforzo venga raramente riconosciuto.

Ciò vale anche per quanto riguarda la gestione dell’abitazione: la pulizia e le altre faccende domestiche, quando non vengono affidate a figure specializzate, vengono svolte ancora oggi soprattutto dalle donne, con un impatto negativo sulla loro qualità di vita e sull’equilibrio tra carriera e sfera privata.

Lavoro domestico e di cura non retribuito: il significato sociale del fenomeno

avoro domestico non retribuito e occupazione femminile

Storicamente, il lavoro domestico e di cura era riservato al mondo femminile già nell’antichità: per secoli le donne si sono occupate degli altri componenti della famiglia e della gestione della casa senza alcuna possibilità di scelta. Questa suddivisione dei ruoli era fondata sui concetti di natura e di indole, attribuendo alla popolazione femminile una maggiore affinità con il mondo casalingo.

Solo recentemente si è messo in discussione questo modello e si è cominciato a dibattere sul tema. La volontà è quella di dare valore alle attività svolte. Tra le ipotesi allo studio, c’è anche il riconoscimento economico per tali mansioni, ma la riflessione è appena all’inizio.

Questo però non è l’unico aspetto da affrontare: il lavoro domestico non retribuito incide in modo profondo anche sulle possibilità occupazionali delle donne. Molte di loro infatti rinunciano a una carriera al di fuori delle mura di casa, o accettano incarichi a tempo parziale, per prendersi cura dei figli, dei genitori e dell’abitazione.

In aggiunta, tante donne che lavorano full-time si trovano comunque a farsi carico della sfera domestica una volta terminata la giornata lavorativa.

Qual è lo stato del lavoro domestico e di cura non retribuito in Italia?

Il fenomeno è presente anche in Italia. Come ricordato dall’associazione Valore D, il lavoro domestico non retribuito è svolto esclusivamente dalla popolazione femminile nel 74% dei casi.

Le donne italiane dedicano quotidianamente 5 ore e 5 minuti a tali attività; gli uomini arrivano invece a un’ora e 48 minuti al giorno. Il gap che sussiste tra i due generi è quindi significativo e necessita di un intervento strutturato, a partire dalle istituzioni statali.

La recente pandemia di Covid-19 ha inoltre inciso su questa situazione già difficile. Lo smart working ha infatti aumentato – soprattutto per le donne salariate full-time – il tempo passato all’interno delle mura domestiche, e conseguentemente le ore dedicate alla crescita dei figli, alla cura delle persone anziane e al benessere della casa nel complesso.

Riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico

Equilibrio tra donne e uomini nei lavori domestici

Il primo passo da compiere per risolvere il problema è sottolineare l’importanza delle mansioni domestiche. 

Poiché il lavoro di cura non retribuito riguarda soprattutto la popolazione femminile, la valorizzazione del suo contributo passa dal riconoscimento di quanto svolto dalle donne all’interno del nucleo familiare. Senza queste attività la famiglia non potrebbe sussistere: si metterebbe a rischio il benessere psicofisico di ogni componente e la gestione ottimale della casa.

Una reale valorizzazione dovrebbe poi passare da una retribuzione economica anche per le donne non salariate, rendendo così meno stringente la dipendenza dal partner e di conseguenza più egualitaria la relazione tra i due.

Infine, la cura dei figli, dei genitori e dell’abitazione andrebbe ridistribuita in modo equo tra i membri, riducendo quindi quel gap che, ai ritmi attuali, si stima che verrà colmato solo nel 2066.

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