Le voci femminili degli assistenti vocali

Le voci femminili degli assistenti vocali

La tecnologia vocale sta diventando sempre di più un supporto concreto nella nostra quotidianità: possiamo utilizzarla, per esempio, mentre siamo in macchina e ci serve segnare un appuntamento prima di dimenticarlo, oppure mentre siamo a cena e desideriamo ascoltare un brano senza alzarci da tavola. Basta chiedere: “Alexa”, o “Ehi Google”, seguito dal comando “metti un po’ di musica”.

Le risposte degli assistenti tramite la voce stanno avendo una diffusione crescente in tutto il mondo: un assistente vocale può essere utile per prenotare un viaggio, fare un acquisto, controllare il meteo o avere le informazioni che ci servono e in molte altre situazioni della vita.

I dispositivi dotati di assistente vocale si animano grazie alla voce, li sentiamo più simili e più vicini, trasmettono una sensazione di familiarità e ci fanno sentire a nostro agio nel formulare una richiesta. Senza contare che l’utilizzo della tecnologia vocale abbatte l’analfabetismo digitale delle persone di età avanzata, le quali hanno la possibilità di imparare a usarla in maniera più intuitiva e senza affaticare la vista su minuscoli display.

Tra le impostazioni degli assistenti ad oggi è possibile scegliere tra una voce femminile o una maschile, ma in un primo momento molti dispositivi avevano solo un’opzione di voce, quella femminile, scelta realizzata a seguito di ricerche di mercato che mostravano come un timbro più squillante facesse sentire maggiormente a proprio agio gli utenti.

Allo stesso modo è stata una decisione precisa quella riguardo i nomi, lanciati a partire dal 2011, anno della prima diffusione di queste tecnologie. Seppur inventati (Alexa, Cortana, Siri), richiamano quelli che potrebbe avere una donna, come evidenzia un articolo di Sky TG24, caratterizzando l’oggetto con un genere.
Inizialmente, il rischio poteva essere che l’associazione di:

  • nome femminile
  • voce femminile
  • funzione assistenziale

facesse coincidere l’idea di una voce di donna, e quindi della donna stessa, con quella di un prodotto di assistenza vocale, ovvero senza una volontà propria e sempre a disposizione per qualsiasi richiesta.
Secondo una ricerca condotta da Voicebot, realtà che si occupa di divulgare le novità riguardo questo settore, emerge come, di fronte alla possibilità di scegliere quale voce impostare, la maggioranza delle preferenze sia degli uomini, sia delle donne, si indirizzi verso il timbro femminile.
Oggi, quindi, la responsabilità di questa scelta e dei pregiudizi che ne possono scaturire è unicamente nostra.

Discriminazione di genere attraverso la Voice Technology

La percezione di umanizzazione della tecnologia vocale, che è il segreto del suo successo commerciale, può portare però ad atteggiamenti comportamentali dannosi per le persone.

Gli o le utenti che usano abitualmente un assistente vocale trasferiscono per associazione la forma di interazione, che di solito riservano al dispositivo, sulla persona in carne e ossa. Nell’utilizzo di un prodotto vocale non serve usare le formule di cortesia più semplici (come “grazie” e “per favore”) e si può attivare con un semplice “ehi!” o “okay”, come osserva la BBC. Naturalmente, tutto questo sarebbe disumano nei normali rapporti interpersonali.

Una delle possibili conseguenze di questo rischio è stata evidenziata dallo studio del 2019 I’d blush If I Could: closing gender divides in digital skills through education (Arrossirei, se potessi: mettere fine alle differenze di genere nell’ambito della competenze digitali attraverso la formazione) firmato dall’UNESCO e co-prodotto dal Governo della Germania e da EQUALS Skills Coalition, una piattaforma dedicata alla promozione dell’equità di genere in ambito digitale.

Il titolo è stato scelto tra alcune risposte ricorrenti date da Siri, l’assistente vocale prodotto da Apple, usata ogni giorno da milioni di persone, quando un/a utente la offende rivolgendosi a lei come a una “t***a”.

Le frasi accondiscendenti che i diversi assistenti vocali pronunciano in risposta ad alcuni comandi vocali

Una ricerca del 2017 di Quartz, una piattaforma britannica di giornalismo e analisi delle tendenze economiche, ha messo in luce come l’ambiguità passiva delle risposte dei dispositivi dei dispositivi impostati con una voce femminile (frasi come “Mi dispiace, non posso aiutarti” o “Questo non è carino da parte tua”) agli approcci aggressivi degli utenti, uomini e donne, vengano assimilate da questi ultimi come una replica valida e conforme alla realtà. Questo fatto implica un rafforzamento dello stereotipo di una donna che non reagisce agli abusi ed evita una discussione intorno a tematiche come la sessualità.

Calvin Lai, ricercatore dell’Università di Harvard e studioso dei pregiudizi inconsci, sostiene che gli stereotipi prendono forma nel nostro immaginario nel momento cui li vediamo verificarsi più volte e in diverse occasioni. Diventano, allora, una realtà assodata, indirizzando i nostri comportamenti. L’utilizzo delle tecnologie vocali è quotidiano e può rischiare di penalizzare le donne nella vita reale nel momento in cui non si comportano come farebbe un’assistente vocale (Fonte: I’d blush If I could).

La voce femminile degli assistenti vocali e la presenza delle donne nel settore tecnologico

voci femminili negli assistenti vocali

Dai dati raccolti nello studio I’d blush If I Could emerge, come abbiamo visto, che la tecnologia vocale può essere un veicolo di sedimentazione dei pregiudizi di genere. La tecnologia, però, non è colpevole di per sé, semmai è uno specchio della situazione attuale.
Le figure che si occupano di programmazione, assunte nelle grandi aziende che producono i dispositivi vocali, sono uomini per l’80% (Fonte: Il Fatto Quotidiano): questo dato non è inclusivo e dimostra come non ci sia, ancora, sinergia nell’ideazione di un prodotto tecnologico.

Inoltre, c’è un ulteriore aspetto da considerare: tutte le risposte che gli assistenti vocali ci danno vengono prese dal web e selezionate dalla loro intelligenza artificiale. Internet contiene in parte la nostra cultura ed è un bacino di informazioni valide, ma anche di commenti razzisti, contenuti misogini, notizie false e molto altro ancora. L’assistente vocale non è in grado di selezionarle in base al buon senso, all’etica e all’idea di politicamente corretto. Dal momento che non è ancora possibile che la tecnologia si auto-regoli per selezionare i materiali da cui attinge, è necessario che i brand ne assicurino un monitoraggio e un filtraggio etico.

Cosa sta dietro la progettazione della voce di un voice assistant?

Abbiamo visto che l’attribuzione di un genere di voce per un dispositivo di assistenza vocale è rischiosa: ma quale potrebbe essere un’alternativa per evitare di rinforzare il gender gap?

L’UNESCO, come riportato anche da Repubblica, ha denunciato il rischio di sessismo e ha agito concretamente coordinando un’operazione internazionale di studio e sperimentazione per un nuovo dispositivo. In collaborazione con il network creativo anglo-americano Virtue Worldwide, il Copenhagen Pride e la ricercatrice danese Anna Jorgensen, ha creato Q: il primo dispositivo di assistenza vocale dal timbro neutro.

L’esigenza da cui è partito il progetto è stata quella di poter ampliare l’idea di genere oltre il binarismo, oltre il dualismo uomo/donna, in modo tale che non si debba scegliere quale voce dare al prodotto, ma il dispositivo possa avere una voce totalmente nuova. L’esperimento ha combinato tra loro le frequenze vocali di migliaia di persone per creare un timbro neutro, che oscilla intorno ai 145 Hz, tra gli 80 Hz di una voce maschile e i 220 Hz di una voce femminile.

La finalità del progetto è soprattutto quella di sensibilizzare i consumatori sul tema e le aziende a prendere una posizione di tutela sociale corrispondente all’influenza culturale che i loro prodotti esercitano, per rendere il mondo più equo grazie alla tecnologia.

Assistenti vocali e voci femminili: quale ruolo ha la comunicazione?

Abbiamo visto che il ruolo delle aziende è fondamentale nel diffondere in ambito digitale una cultura che sia rispettosa, ma non solo: è essenziale che diventino luoghi di lavoro con una percentuale equilibrata di uomini e donne, per promuovere un futuro che possa essere costruito in maniera più equa e condivisa. Site by Site, agenzia digital con sedi a Padova e Milano, è partner del progetto di Donne.it.

Tra i reparti che la compongono vi è un’equa distribuzione di collaboratrici e collaboratori e da tempo uno dei team è impegnato nello sviluppo di tecnologie vocali che aiutino le persone nelle fasi di un acquisto online; nel reperire informazioni sui prodotti e nell’individuare la soluzione migliore in base alle necessità.

Abbiamo chiesto a Nicola Bruno, CEO di Site by Site, qual è il ruolo che può avere un’azienda nel ridurre, in tal senso, il gender gap. Cosa può fare concretamente un brand, un’agenzia, un’impresa grande o piccola?

“Innanzitutto porsi il problema. In secondo luogo affinare la propria sensibilità per individuare ed eliminare qualsiasi forma di disparità, dalla fase di attraction fino alla fase di gestione dei talenti. In particolare è fondamentale che in un’azienda si creino meccanismi positivi e si diffondano sistemi meritocratici che portino all’autostima e alla oggettiva autovalutazione del proprio valore al di là di ogni differenza di genere e non solo”.

Nicola Bruno prosegue e ci illustra quelli che, a suo parere, possono essere i motivi principali che portano a una iniquità di genere in un organico aziendale.

“La disparità di genere purtroppo è figlia di un approccio culturale ingiusto e reiterato che, a partire da un’educazione familiare “sbilanciata” tra maschi e femmine, atterra direttamente con tutti i suoi clichè nel mondo del lavoro. Spesso infatti la disparità purtroppo è una situazione che viene accettata in primis dalle sue vittime, a causa di un retaggio culturale antico quanto errato che purtroppo viene scambiato per la normalità e che limita la libertà di pensiero e di espressione”.

E conclude indicando da dove le aziende possono partire per invertire questa tendenza culturale:

“Certamente c’è ancora molta strada da fare, ma un punto di partenza c’è: il cambiamento. Deve nascere nelle singole persone. E se è vero che le persone sono il vero valore delle aziende è anche vero che le aziende devono dare alle persone l’opportunità di vivere la propria vita nel rispetto dei veri valori”.

Voice technology e stereotipi femminili

L’ambito digitale è quindi uno dei campi cruciali in cui si può giocare una partita decisiva per un futuro più equo.

Aurora Zotto, SEO Specialist di Site by Site, è una delle poche presenze femminili a ricoprire questo ruolo professionale (che ha l’obiettivo di migliorare la visibilità di un sito web sui motori di ricerca e il posizionamento nelle pagine dei risultati). Lo scorso aprile ha risposto all’invito di #StandUpTogether – A Call From Italy, una campagna social internazionale, creata dalla sinergia tra la società di comunicazione newyorkese Italian Hub, la testata i-Italy Network e il creativo Pasquale Diaferia. Lo #StandUpTogether realizzato da Aurora pone l’attenzione proprio su questo tema: la tecnologia vocale e le voci femminili che la interpretano.

Aurora Zotto ha sottolineato come il cambio di rotta delle aziende per quanto riguarda la programmazione delle voci dei dispositivi sia un punto di partenza importante, perché significa nel concreto bilanciare la scarsa percentuale di donne presenti in ambito tech. Le strade da percorrere per il raggiungimento della parità di genere sono molteplici, ma nel suo parere la via maestra è quella della formazione:

“Bisogna partire dall’educazione: secondo alcuni studi di sociologia, infatti, i bambini e le bambine iniziano a sviluppare pregiudizi di genere già a partire dall’età di 3 anni. Ascoltano quello che dicono genitori, insegnanti e tutte le figure di riferimento nella loro vita. Un articolo del Sole 24Ore ha evidenziato come, nel caso in cui vengano sottoposti all’esposizione di barzellette discriminatorie, insulti verbali a gruppi etnici o ad atteggiamenti di iniquità di genere, possano sviluppare stereotipi, che si radicano all’interno del pensiero e diventano difficili da estirpare”.

Rispetto a questo tema la tecnologia vocale può avere un ruolo educativo: Amazon, per esempio, ha fatto uscire negli Stati Uniti un’edizione “Kids” di Amazon Echo che non risponde ai bambini finché non dicono “per favore” e “grazie” (Fonte: I’d blush If I Could).

Abbiamo chiesto ad Aurora Zotto di individuare due proposte concrete per migliorare la formazione (e quindi il futuro) attraverso le conoscenze dei professionisti digitali:

“La prima è quella di collaborare con le scuole d’infanzia, superiori e nelle università progettando programmi dedicati, per esempio, al corretto uso dei social network e delle chat”. – e prosegue – “La seconda è la partecipazione attiva ad eventi di riferimento nel panorama digitale dedicati alle donne, con la diffusione ad ampio raggio delle varie iniziative, di modo che sempre più persone ne vengano a conoscenza e possano parteciparvi”.

Conoscenza e consapevolezza, dunque, sono le chiavi per l’eliminazione del gender gap.

La senti questa voce? L’organizzazione WomenInVoice parla delle donne in ambito vocal

WomenInVoice è una community che ha preso vita nel 2018 con una missione ben precisa: incoraggiare le carriere delle donne e di altre persone nel settore delle tecnologie vocali, supportare con strumenti concreti i percorsi professionali in questo ambito e valorizzare i talenti e i successi femminili, costruendo una comunità attiva di riferimento e di scambio.

Abbiamo chiesto a Bea Dobrzynska, una delle co-fondatrici e portavoce del progetto WomanInVoice in Italia, di raccontarci la posizione dell’organizzazione rispetto all’utilizzo dei dispositivi vocali e all’influenza che possono avere sugli atteggiamenti delle persone:

“La Voice AI ci aiuta a riflettere sull’ attività umana più importante: comunicare. È indubbio che la voce sia il fattore umanizzante della tecnologia e che la tecnologia di per sé non abbia un genere biologico. Si tratta di una nostra proiezione. Ci piace associare certi oggetti al genere femminile e altri al genere maschile”.
Prosegue: “È difficile pensare che prima di presentare al mercato un prodotto non siano state fatte delle ricerche sulle preferenze degli utenti. Siamo quindi noi utenti ad aver scelto la voce femminile – la più difficile da produrre (possiamo quindi escludere anche il fattore di efficienza). I produttori hanno scelto la voce femminile cercando di rispondere alle aspettative degli utenti e siamo noi utenti a contestare il fatto che spesso sia una voce femminile. Le controversie di questo tipo sono molte”.

WomanInVoice sottolinea un elemento importante: sono i consumatori e gli utenti a indirizzare le scelte del mercato e, quindi, per invertire la tendenza, bisogna partire da noi stessi. Bea Dobrzynska aggiunge:

“La tecnologia di per sé non è mai né buona, né cattiva e nemmeno neutra. Perché la tecnologia è una creazione umana su cui trasferiamo tutti i nostri pregi e difetti, tra questi la nostra visione del mondo attuale. Considerazioni sulla discriminazione data dalla voce femminile o maschile degli assistenti vocali in questo scenario non sarebbero altro che lo spostamento dell’attenzione dal problema vero: la disparità di genere umano, non quello dei prodotti tecnologici”.

Abbiamo interrogato Bea Dobrzynska circa le iniziative promosse da WomandInVoice per avvicinare un maggior numero di donne a questa branca della tecnologia, per la progettazione condivisa dei dispositivi del futuro:

“WomanInVoice punta sui mille risvolti positivi che la tecnologia può avere, sia a livello sociale, sia produttivo, applicabili in tantissimi settori – dall’ambito medico a quello finanziario. Il mondo delle tecnologie vocali è vasto e coinvolge tanti attori e tante competenze diverse, dalla linguistica, alla programmazione. In Italia realizziamo la missione attraverso diverse attività e azioni che spaziano dalla divulgazione delle informazioni su che cosa sono, a che cosa servono e come usare in modo efficace le tecnologie vocali. Teniamo workshop di formazione, di presentazione dei role models e di avvicinamento di talenti femminili alle aziende di settore”.

A porre l’accento su un altro aspetto che riguarda l’utilizzo della tecnologia è Alessio Pomaro, leader del team di Ricerca e Sviluppo di Voice Branding, realtà innovativa e sperimentale, nata internamente a Site by Site, l’agenzia digital nella quale ricopre i ruoli di SEO Manager e Head of Voice Technology.

“La tecnologia, applicata ad alcuni ambiti, genera valore. Un esempio? La Canadian Down Syndrome Society sta collaborando con Euphonia di Google ad un progetto, Understood, che ha l’obiettivo di rendere la tecnologia vocale più accessibile alle persone con disabilità. Attraverso l’analisi di una campionatura di voci reali di persone affette da questa sindrome, la tecnologia è in grado di migliorare la comprensione delle interazioni. Questo è un esempio di utilizzo sano della tecnologia, in questo caso vocale”.

Il progetto Understood sta riscuotendo un enorme successo e attraverso la piattaforma Google dedicata, le persone affette dalla sindrome di Down possono “donare” la propria voce affinché la comprensione da parte di un’assistente vocale Google sia migliore, senza barriere e alcuna forma di discriminazione.
La tecnologia unisce, crea nuovi posti di lavoro, moltiplica le possibilità di quello che possiamo fare e ci mantiene in contatto con le persone della nostra vita.
I dispositivi vocali sono solo uno strumento: l’educazione a un uso etico e corretto è nostra responsabilità, così come il livellamento del gender gap.