Mansplaining: cosa significa e come difendersi
Quando gli uomini pensano di saperne di più delle donne
Mansplaining, cioè il “Te lo spiego io”: così molti uomini si rivolgono alle donne, assumendo una posizione di superiorità spesso immotivata. Ecco come comportarsi in questi casi.
L’idea che la donna sia, in una certa misura, “inferiore” all’uomo è una pesante eredità con cui la nostra società sta facendo ancora i conti. Un problema che può emergere in maniera più evidente, come nel caso della discriminazione di genere, delle differenze salariali, del mobbing e degli abusi sul luogo di lavoro, oppure in forme più sottili, che sfuggono a volte sia agli uomini che alle donne.
Il mansplaining è un comportamento che rientra in questa ultima categoria. È un termine ancora poco in uso – tradotto dalle scrittrici Violetta Bellocchio con l’espressione “spiegazione virile” e da Michela Murgia con “minchiarimento”.
Mansplaining: cosa significa?
Ma cosa si nasconde, più precisamente, dietro questa parola? L’espressione indica la tendenza, da parte di alcuni uomini, a illustrare e a chiarire alle donne concetti ovvi, con un’enfasi ingiustificata rispetto alla situazione.
Il motivo? Si ritiene di saperne di più sull’argomento, sempre e comunque, oppure si pensa che l’interlocutrice non possa capire quello di cui si sta parlando.
Lo stesso termine nasce dalla fusione delle parole man (uomo) ed explaining (spiegazione). Come individuare questo atteggiamento e in quali luoghi è più diffuso?
Mansplaining: esempi e casi famosi
“Voi donne dovreste capire che…”, ad esempio, è un incipit eloquente, che tradisce un discorso sessista. Questo atteggiamento viene spesso accompagnato da interruzioni frequenti, utilizzo di un tono di voce alto, che svaluta l’interlocutrice, denotando arroganza e paternalismo.
Il fenomeno è molto diffuso in quei contesti in cui la presenza maschile è ancora predominante, ad esempio in alcuni luoghi di lavoro. Sono infatti tanti i settori e le aziende in cui le posizioni di maggiore responsabilità sono ancora ricoperte da figure maschili. E anche quando la donna conquista un ruolo importante all’interno dell’organizzazione grazie ai suoi meriti, spesso si trova a fare i conti con i consigli, non richiesti, dei colleghi uomini.
Ciò vale anche in ambienti con un livello culturale elevato. Secondo uno studio dell’Università di Salford, che ha analizzato 463 interventi in occasione di convegni e incontri, nei seminari di ricerca le relatrici vengono interrotte con maggiore frequenza rispetto agli uomini: sono “costrette” a rispondere a 3,5 domande in più per ogni seminario, pari al +12% rispetto ai loro pari. Inoltre i commenti sono in genere più ostili rispetto a quelli rivolti ai colleghi maschi.
Un altro ambito in cui è diffuso il mansplaining è quello delle professioni nel campo Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), soprattutto nel settore tecnologico e informatico.
Il sessismo è un fenomeno particolarmente diffuso, ad esempio, nella Silicon Valley. Falon Fatemi, Ceo & Co-Founder di Fireside e fondatrice dell’azienda tech Node.ai, ha raccontato che più volte i colleghi maschi hanno voluto spiegarle come funziona il suo stesso software.
Un caso celebre è quello capitato su Twitter nel 2016 all’astronauta americana Jessica Meir: un utente aveva risposto ad un suo video sui social, illustrandole con supponenza un concetto fisico elementare, scatenando una serie di risposte ironiche dove le persone lo invitavano a spiegare all’astronauta come funziona lo spazio.
Mansplaining: come reagire?
Come comportarsi quando ci si trova davanti a uomini che spiegano qualcosa alle donne in modo paternalistico e condiscendente?
La regola aurea è ribadire il proprio punto di vista con chiarezza e competenza. Se controbattere chi compie questa prepotenza è troppo impegnativo o inutile, si può semplicemente ignorare l’interlocutore, così da non dargli soddisfazione.
Anche ironizzare può essere un buon metodo per replicare, in modo da ripristinare i ruoli di partenza. Questo meccanismo è alla base dello spettacolo comico “Il Masnplanning spiegato a mia figlia” dell’artista romano Valerio Lundini, nel quale si fa ironia proprio su questo tipo di atteggiamenti maschili.
Altrimenti si può affrontare la situazione di petto, rivolgendo domande dirette: si può ad esempio chiedere se il comportamento sarebbe lo stesso nei confronti di un uomo.
È importante comprendere che alcune persone possono non avere una sensibilità o la cultura adeguata per comprendere la gravità delle loro parole e l’abitudine storica e sociale che le motiva. Ciò ovviamente non è una scusante, ma un invito ad avere sempre un atteggiamento consapevole.
Si può comunque e sempre sottolineare le implicazioni delle posizioni appena espresse dall’uomo, sottolineando quanto possano essere degradanti e offensive.
Mansplaining: critiche e origine del termine
Uno dei libri iconici sul mansplaining si intitola “Gli uomini mi spiegano le cose”, firmato da Rebecca Solnit, autrice che ha vissuto sulla propria pelle questo fenomeno.
La scrittrice ha raccontato che una volta un uomo le ha contestato di non saperne abbastanza su un argomento, invitandola a leggere un saggio di un esperto. Peccato che quel saggio fosse stato scritto proprio da lei! Il fatto è stato poi riportato sul social network LiveJournal, che ha tenuto a battesimo il termine “mansplaining”. L’espressione ha avuto ben presto successo e nel 2010 è stata inserita nella lista delle “parole dell’anno” del quotidiano statunitense New York Times.
Il termine è oggi oggetto di dibattito. La stessa Rebecca Solnit ha messo in guardia sull’utilizzo improprio della parola: talvolta viene usata come strumento retorico per zittire l’avversario, anche in situazioni in cui non ci sono i presupposti di un’aggressione sessista.
Se utilizzata in maniera inappropriata, l’espressione rischia di perdere il suo valore e il suo potere di denuncia. Una posizione adottata anche dagli intellettuali Joshua Sealy-Harrington e Tom McLaughlin sul quotidiano The Globe and Mail, sottolineando come il termine venga spesso impiegato in modo superficiale per mettere a tacere l’interlocutore in un dibattito.
La giornalista Meghan Daum, in un articolo sul Los Angeles Times, ha evidenziato come la tendenza ad autoproclamarsi esperti non è solo maschile e che associare questo comportamento soprattutto agli uomini può risultare altrettanto sessista.
Si tratta, quindi, di un invito a utilizzare con maggiore cura una parola con un peso specifico, politico e sociale, necessaria più che mai per ristabilire la parità tra uomo e donna nella vita di tutti i giorni.