Morti bianche sul lavoro: una piaga senza fine
La questione sicurezza al centro della cronaca italiana
Una ragazza esce di casa come ogni mattina, saluta suo figlio e si dirige in fabbrica, senza sapere che da lì non farà più ritorno. È quanto accaduto a Luana D’Orazio, la giovane di 22 anni che è rimasta incastrata in una pressa nell’azienda tessile in cui lavorava. Una storia purtroppo già sentita: sono tanti gli uomini e le donne che ogni anno perdono la loro vita facendo il proprio mestiere. Si tratta delle morti bianche sul lavoro, una piaga che nel 2021 registra ancora numeri preoccupanti.
Stando ai dati Inail riportati da La Stampa, nel primo trimestre dell’anno le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale sono state 185, con un incremento dell’11,4% rispetto al primo trimestre del 2020. In generale, ogni giorno due persone muoiono mentre compiono il loro dovere. Un dramma spesso dovuto alla mancanza delle giuste misure di sicurezza, come denunciano oggi a gran voce i sindacati di tutta Italia.
Morti bianche sul lavoro: le cause
Se si prende in considerazione tutto l’arco del 2020, gli infortuni con esito mortale sono stati 1.270, il 16,6% in più rispetto al 2019. Un dato, come spiega Il Sole 24 Ore, inevitabilmente influenzato dalle morti per contagio da Covid-19, che nello scorso anno hanno rappresentato circa un terzo dei decessi denunciati all’Inail.
Si ricordano però molte altre cause alla base delle morti bianche sul lavoro. Al primo posto si confermano gli incidenti stradali, registrati sia durante le ore effettive di attività che nel tragitto verso casa.
Ci sono poi gli infortuni e le malattie professionali legati soprattutto ai lavori manuali: in queste mansioni sono perciò richiesti appositi strumenti e idonee protezioni per l’operaio. In un’approfondita analisi di Wired.it, si mette in evidenza però come il tema della sicurezza nel nostro Paese oggi debba ancora affermarsi pienamente e che tra le cause degli incidenti ci siano molto spesso anche mancanza di formazione, strumenti vecchi o danneggiati e scarsa manutenzione.
Morti sul lavoro: i numeri di uomini e donne
Ma qual è la percentuale di morti sul lavoro se si confrontano uomini e donne? Stando ai dati, a morire di più sono i primi: 171 i casi che hanno riguardato gli addetti maschi nel primo trimestre del 2021, contro i 14 della controparte femminile. Un’analisi però parziale, se si considera che lavorano i due terzi degli uomini e solo la metà delle donne. Anche le differenze di occupazione incidono: generalmente gli uomini sono impiegati maggiormente nelle mansioni che presentano più pericoli.
Dall’analisi Gender gap e rischio infortunistico dell’Inail 2020 emergono numeri diversi anche per quanto riguarda l’età: in genere, sono i giovani i soggetti con i livelli di rischio più elevati, perché spesso sono in prima linea e svolgono operazioni pesanti. Ciò vale soprattutto per gli uomini: il rischio massimo si registra infatti tra gli under 34 (37,7 denunce per 1.000 lavoratori). Fanno però eccezione le donne: in questo caso sono maggiormente in pericolo le lavoratrici over 50, con un livello di rischio superiore rispetto a quello dei coetanei (27,5 contro 23,9).
I settori più a rischio per le donne
Analizzando infine le occupazioni che più di altre rappresentano un rischio di infortunio sul lavoro per le addette, l’analisi del 2018 dell’Inail mette tre settori in evidenza:
- Gestione Industria e servizi: nel 2018 sono state registrate 169.352 denunce;
- Conto Stato: 54.902 le denunce nell’anno preso in esame;
- Agricoltura: 6.255 casi di infortunio nel 2018.
Ancora una volta i lavori manuali sono protagonisti in negativo, sia per quanto riguarda i semplici infortuni sia quando si parla di morti bianche. Un dato che sottolinea quanto ancora si possa e si debba fare in termini di sicurezza sul lavoro.