Panchine Rosse contro la violenza sulle donne, ora anche a Padova mentre i casi aumentano
Il numero delle donne morte nel 2020 sale. Il lockdown ha influito negativamente
Di violenza sulle donne non si parla mai abbastanza. L’eco del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1999, è forte perché le donne continuano a morire ogni giorno per mano di uomini che non conoscono la parola rispetto. Poi ci sono anche le donne che troppo spesso confondono sentimenti negativi con il “troppo amore”.
Il “troppo amore” non esiste, mentre esistono le percosse, i lividi – sulla pelle e sull’anima – le offese e le ingiurie, le violenze sessuali e le violenze psicologiche, le accuse e le distorsioni della realtà che ne manipolano il senso, le persecuzioni e lo stalking.
Tra i simboli di questa lotta c’è il progetto delle panchine rosse, il cui colore è associato alla violenza e alla lotta per le pari opportunità. Le iniziative di quest’anno sono state segnate dalle restrizioni a causa del Covid-19 e da ben due femminicidi, il 25 novembre 2020, nell’arco di poche ore. In Veneto e in Calabria, due donne hanno perso la vita e i sogni per mano dei loro compagni, con il numero delle vittime che, nel solo 2020, sale a 65.
Secondo il VII Rapporto Eures sul “Femminicidio in Italia”, nei primi 10 mesi del 2020 la “correlazione tra convivenza e rischio omicidiario”, durante il lockdown, ha inciso negativamente. Nel confronto con l’anno precedente, il numero dei femminicidi familiari con vittime conviventi sale da 49 a 54 (+10,2%), mentre scende da 36 a 26 quello delle vittime non conviventi (-27,8%).
Di quanto sia importante denunciare e dell’impegno delle associazioni ed enti locali per la lotta contro questo mare di violenza, ne abbiamo parlato con Cinzia Di Tommaso, Presidente del Lions Club Antenore di Padova, città nella quale, da quest’anno, è presente una panchina rossa per ricordare le vittime di violenza.
Il progetto Panchina Rossa arriva a Padova, ai Giardini dell’Arena
Presidente, perché una panchina rossa a Padova, nei giardini dell’Arena?
“I Giardini dell’Arena sono il cuore di Padova, una zona che, nel corso degli ultimi due anni, è stata riqualificata. Il parco giochi è vicino alla Cappella degli Scrovegni, simbolo della città, ed è molto frequentato dalle mamme e dalle donne in generale. È situata in un punto nevralgico. Avevamo bisogno di un posto importante per lanciare un messaggio importante: sensibilizzare i cittadini sul tema della violenza, affinché le donne escano dal muro di silenzio e denuncino ogni forma di violenza che subiscono.
Come Lions Club Antenore ci occupiamo di servire la collettività e abbiamo scelto di aiutare le donne a denunciare ogni tipo di violenza. Solo denunciando si può aiutare anche i figli. L’installazione della Panchina Rossa ha ricevuto il patrocinio del Consiglio Regionale del Veneto e del Comune di Padova, che ringrazio”.

Il Lions Club Padova Antenore, di cui è Presidente, è vicino a queste problematiche, sostenendo da tempo Casa Viola, struttura di accoglienza del Gruppo Polis. Ce ne parli
“Casa Viola offre un alloggio sicuro per le donne e i loro bambini e che accompagna attraverso un percorso di inserimento lavorativo. Come struttura Lions Club Padova Antenore avevamo sostenuto questa struttura anche lo scorso anno donando piumini, coperte, biancheria. Questo anno – racconta – abbiamo pensato di fare di più e regalare alla nostra città un simbolo, la Panchina Rossa, che fosse più diretto e che risultasse un monito per le donne affinchè denuncino”.
Secondo l’Istat, i centri anti violenza certificati sono 302 e nel 2018 hanno acceduto circa 50mila donne). Le case rifugio alla fine 2018 erano 272, in aumento rispetto all’anno precedente. Durante il lockdown il numero verde 1522, messo a disposizione dal Dipartimento Per le Pari Opportunità DPO – PdCM, è stato preso d’assalto. Le donne, dunque, non sono sole.
“No, non lo sono. Alice Zorzan del Gruppo Polis ci racconta che le donne che subiscono violenza psicologica si annullano nelle mani di un uomo che ruba la loro dignità e personalità. Il nostro obiettivo – prosegue – è far passare un concetto: amore è rispetto, ogni donna ha il diritto di vivere, correre, camminare, rimanendo nella propria dignità di essere donna. I dati sono allarmanti ma occorre denunciare per sé e per tutte le altre donne”.
La donna che lo scorso 25 novembre, a Cadoneghe, in provincia di Padova è stata uccisa dal proprio compagno, aveva avuto il coraggio di denunciare ma non è bastato. Come donne.it, quest’anno in occasione del 25 novembre, abbiamo lanciato un messaggio forte “Ci meritiamo solo di Ridere“. La violenza è una lotta continua. Quale messaggio si sente di lanciare alle donne che non hanno il coraggio di denunciare?
“Le donne devono scegliere di vivere. Amore non è percossa e violenza, amore è rispetto per se stesse, è chiedere costantemente di essere rispettate. Questa lotta deve essere affrontata insieme. Ci sono strutture di accoglienza alle quali ci si può rivolgere; queste forniscono tutto il supporto necessario, grazie all’ausilio di professionisti specializzati. Non bisogna tornare sui propri passi: è necessario scegliere di volersi bene. Solo denunciando si possono aiutare anche i propri figli a superare la violenza”.
Più 26.477 al 1522: durante il lockdown sono aumentate le richieste di aiuto
Le panchine rosse contro la violenza sulle donne recano una targhetta con il numero verde 1522 che risponde alle richieste di aiuto, supporto e consulenza alle persone che vivono personalmente o indirettamente una situazione di disagio dovuto a violenza psicologica, fisica e stalking. Il rapporto dell’Istat sulla violenza di genere conferma i dati allarmanti e mostra che nel trimestre marzo-giugno 2020, come anticipato, le telefonate al 1522 abbiano subito un’impennata rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Le chiamate valide, al 30 ottobre scorso, hanno raggiunto quota 26.477 (in tutto il 2019 se ne contano 21.290) . Dal primo marzo a metà aprile si sono contate 5.031 telefonate (+73% in più rispetto allo stesso periodo nel 2019).
Perché le donne hanno chiamato il 1522 durante questo periodo dell’anno? Quali sono state le motivazioni che le hanno spinte? Vediamo i dati contenuti nel medesimo rapporto (1 marzo al 31 maggio 2020):
- il 42.9% hanno riguardato richieste di aiuto per violenza o stalking;
- il 24% delle donne ha chiamato per chiedere informazioni sul servizio che viene fornito;
- il 12% per avere informazioni sui centri anti-violenza;
- il 19,3% delle donne ha chiesto qualche forma di supporto di tipo sociale o psicologico (con un + 10,6% rispetto al 2019).
Quest’ultimo dato, in particolare, dimostra una difficoltà tangibile durante il periodo di lockdown e come l’assenza di relazioni sociali, se non limitate al proprio nucleo familiare, abbia messo a dura prova la stabilità psicologica. Spesso, infatti, questo “stare da sole” con se stesse e con i propri problemi, ha acuito disagi e sofferenze.
Gli autori delle violenze e il contesto familiare: i casi di violenza assistita
Lo stesso rapporto Eures mostra come nella maggior parte dei casi registrati gli autori delle violenze – soprattutto fisiche – siano i partner ( 58,4%), gli ex partner (15,3%) e un familiare, come un genitore a un figlio (18,8%). Le donne hanno sempre più paura, dunque, e questo stato determina il loro approccio alla quotidianità che risulta fortemente condizionato. Temono la propria incolumità (34,1% nel 2020), provano un forte stato di soggezione (23,6%) e ansia (19,6%) mentre quasi il 5% teme per l’incolumità dei propri cari (4,7%) e di morire (4,4%).
Un altro dato assolutamente allarmante riguarda coloro che subiscono violenza assistita: quasi il 70% delle donne che subiscono violenza ha figli, e molto spesso sono proprio i figli che chiamano il 1522, con un effetto traumatico incalcolabile. Il 30,7% delle donne vittime ha figli minori. Nel 48% dei casi i figli hanno assistito alla violenza e nel 10% l’hanno subita a loro volta. E le conseguenze? Sui minori sono drammatiche perché sempre più spesso (10% dei casi) questi assumono comportamenti aggressivi, imitando ciò che vedono in contesti anche scolastici. La metà (50%) dei minori vittime di violenza assistita, mostra inquietudine.
Panchina rossa, la storia: in provincia di Pavia la prima ma questo simbolo ha raggiunto tutto il mondo
Negli ultimi 4 anni, in Italia, abbiamo assistito a pose di panchine rosse nei luoghi pubblici di diverse città. Un gesto per omaggiare con un simbolo la memoria delle donne vittime di abusi. Per non dimenticare i numeri spaventosi di questo fenomeno.
Ma quante di noi ne conoscono l’origine? Abbiamo chiesto a Tina Magenta, l’ideatrice dell’iniziativa, di raccontare che cosa l’ha ispirata.
A Lomello (PV) la prima panchina rossa. Com’è nata questa idea?
“L’idea nasce dai tanti anni di attività dell’associazione culturale “La Biblioteca Giovannini-Magenta” che ho fondato insieme a mio marito nel 2012. Con l’associazione abbiamo subito cominciato ad occuparci del tema della violenza sulle donne con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica, a partire dalle “giovani leve”.
Nei primi mesi del 2016, per pura casualità, ho visto su internet un articolo con una foto: era una panchina dipinta di rosso, ad opera di un writer di Torino, che l’aveva realizzata proprio per ricordare il fenomeno del femminicidio. Mi sono detta che era “un’idea straordinaria”. Ho immaginato che questo oggetto così comune potesse diventare un mezzo per trasmettere un messaggio forte, in grado di coinvolgere l’intera comunità. E allora mi è venuta in mente una delle nostre panchine in giardino. L’ho immaginata dipinta di rosso – racconta – e collocata nella piazza principale del paese. A quel punto ho scritto un post, chiedendo alla sindaca di Lomello di aderire al mio progetto e lei ha risposto con entusiasmo.”
Da Lomello in tutto il mondo: la panchina rossa è arrivata anche dall’altra parte del mondo. Ci racconti come e ci faccia qualche esempio.
“La pubblicazione del mio post nel 2016 ha attirato la curiosità di diversi giornali, che hanno cominciato a parlarne. Gli articoli hanno coinvolto molte persone, tra cui la Coordinatrice degli Stati Generali della Donne. Da quel momento in poi l’iniziativa si è diffusa a macchia d’olio in Italia, grazie alle tante donne che hanno aderito da nord a sud della penisola.

La panchina rossa, da quel settembre 2016 ha percorso tanta strada: al progetto hanno aderito Camere di Commercio, scuole, università, categorie professionali (come l’ordine degli Psicologi e degli Avvocati) e anche conventi. Tantissime panchine rosse continuano a essere posate e non solo il 25 novembre”.
Cosa significa istituire una Panchina Rossa?
“Il significato di una panchina rossa è simbolico: con il suo carico di morte e di dolore, ci ricorda che è importante ascoltare. Se ci mettiamo in ascolto possiamo sentire le voci delle donne morte per mano di chi diceva di amarle. Voci che in tanti casi sono rimaste in silenzio, o che si sono fatte sentire, ma non sono state ascoltate. Da novembre 2019 la #panchinarossa è un marchio registrato dagli Stati Generali delle Donne e questo proprio perché è importante che ci sia un’unica grande voce che si alza a difesa delle vittime di violenza. L’idea ha fatto presa anche all’estero, ad esempio in Germania, a Potsdam e in diversi stati dell’America Latina”.
Nel 2020 sono già 60 le vittime di violenza. Quale messaggio si sente di lanciare alle donne che non hanno il coraggio di denunciare?
“Sono pienamente convinta che se parli a un amico o a un’amica, a un vicino di casa, nessuno si girerà dall’altra parte. È fondamentale spezzare le catene di violenza che costringono le donne: basta una mano che si stringa alla tua mentre ti avvicini alla stazione della polizia o dei carabinieri per denunciare, basta comporre il numero antiviolenza per sentire una voce pronta ad ascoltarti all’altro capo, basta chiedere aiuto e una porta si aprirà per darti rifugio e toglierti dalle mani del tuo aguzzino.
Ecco perché vorrei dire alle donne, a noi tutte, che non dobbiamo avere paura. Non dobbiamo temere di essere giudicate, avere vergogna. Dobbiamo avere la certezza di poterci salvare e di salvare anche i nostri figli”.
La Rete Nazionale Antiviolenza a sostegno delle donne vittime di violenza è un progetto che ha l’obiettivo di rispondere alle richieste di aiuto e di informazione. Al numero 1522 rispondono gli operatori 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno. Il servizio garantisce l’assoluto anonimato.