Il rapporto speciale tra madre e neonato
La relazione tra madre e figlio è un legame in costante divenire
Ogni giorno vissuto insieme contribuisce a creare e a rafforzare il rapporto tra la mamma e il suo bambino. Dalla gravidanza al parto, ogni attimo è fondamentale per la crescita del piccolo e per il benessere della famiglia.
Gli psicologi definiscono il legame tra madre e neonato, così speciale e stretto, bonding, una parola inglese che restituisce il senso di questo processo naturale attraverso cui i genitori accudiscono, nutrono e proteggono i piccoli. Gli studiosi sostengono che questo tipo di legame sia una caratteristica comune a tutti i mammiferi e dunque anche alla specie animale.
Il bonding coinvolge sia la mamma sia il papà perché è proprio nei primissimi giorni di vita che si sviluppa quel senso di famiglia e di unione che li accompagnerà per tutta la vita.
Le mamme hanno, per natura, più facilità nella costruzione del rapporto rispetto ai papà. L’esperienza della gestazione porta loro a proteggere il feto sin da piccolissimo, portandolo a maturazione in un grembo che diventa il punto di contatto più intimo e più naturale che possa mai esistere. Per tutte le mamme è possibile fortificare la relazione con il bambino già prima del parto, dando spazio in gravidanza a momenti di comunicazione e condividendo con lui emozioni positive: ogni sentimento provato dalla madre, infatti, viene “sentito” anche dal bimbo.
Calma, tranquillità, gioia, sono solo alcune delle tantissime sensazioni positive che è bene che la mamma trasmetta al proprio piccolo.
Poi ci sono i suoni e gli stimoli che il feto è in grado di percepire come, ad esempio, i colpetti e le carezze che la mamma fa sul pancione e, soprattutto, la sua voce. Questi processi sono alla base del cosiddetto imprinting prenatale, grazie al quale il bambino inizia ad entrare a contatto con il mondo, che sarà in grado di riconoscere dopo la nascita.
Fra scienza e affetto, gli ingredienti principali del rapporto madre-figlio
Quali sono gli ingredienti di questo rapporto così speciale? Durante tutta la gravidanza e nel momento del parto le donne sviluppano una serie di ormoni che vanno ad influire nel bonding e la aiutano ad instaurare una relazione positiva con il piccolo fin dai primi istanti di vita. Nel dettaglio:
- l’ossitocina: la produzione aumenta negli ultimi tre mesi di gravidanza e raggiunge il suo massimo entro 30 minuti dal parto, perché è alla base della contrazione dell’utero e della successiva espulsione della placenta. Oltre ad avere quindi un’importanza in termini fisici, l’ormone predispone la madre, in modo del tutto naturale, all’accudimento del nuovo arrivato;
- l’adrenalina: è fra gli ormoni centrali dell’imprinting postnatale perché mantiene la mamma lucida nonostante gli sforzi del parto;
- endorfine: agiscono da anestetizzante naturale, rendendo più facile la sopportazione del dolore;
- prolattina: ingrediente principale della maternità, fa nascere nelle mamme la tendenza a comportamenti di accudimento che fanno sentire il neonato amato e protetto nel nuovo ambiente; influisce anche sull’allattamento.
La prolattina viene favorita dal contatto pelle a pelle: questo si attua appoggiando il bambino al petto nudo entro un’ora dalla nascita e aiuta a regolare la temperatura corporea e il battito del piccolo, favorendo la stabilizzazione dei livelli di glucosio nel suo organismo.
I sensi in gioco nel legame madre e figlio
Anche i cinque sensi sono essenziali per rafforzare il rapporto madre-figlio.
La vista si sviluppa nel neonato durante i primi tre mesi, ma già dopo la nascita il piccolo distingue visi e oggetti entro circa 25 cm di distanza: ciò rende la vicinanza con la mamma fondamentale per l’identificazione del genitore.
L’udito, invece, si sviluppa nella 19esima settimana di gestazione: ecco perché il dialogo con lui è fondamentale già durante la gravidanza. Quando nasce, il neonato ha già l’udito sviluppato ed è per questo che il continuo sussurro della mamma è fondamentale anche durante l’allattamento.
Anche gli altri sensi hanno un’importanza specifica: il tatto aiuta i genitori a far sentire il piccolo al sicuro, mentre l’olfatto, molto sviluppato nei bambini, permette loro di distinguere la mamma e raggiungere facilmente il seno durante l’allattamento, il primo momento in cui possiamo riconoscere la capacità del bambino di provare “gusto”. Questo aspetto è centrale nella creazione del bonding, perché permette al piccolo di entrare in contatto con la madre facendosi nutrire da lei anche fuori dal pancione e rende la relazione necessaria alla sopravvivenza, così come in natura.
Quella dell’allattamento è la parte più delicata del processo e, oltre ai cinque sensi, chiama in gioco anche gli ormoni illustrati in precedenza, soprattutto ossitocina e prolattina. Non sempre l’allattamento è immediato: il piccolo potrebbe aver bisogno di più tempo per attaccarsi correttamente al seno, ma questo non deve spaventare la neomamma perché il bonding e l’allattamento sono esperienze intime e personali, che ciascuno vive secondo le sue emozioni, compreso il bambino.
Se è vero com’è vero che il latte materno è la prima fonte di nutrimento per un neonato e la più importante, non possiamo trascurare il fatto che vi sono mamme che non vogliono o non possono allattare. In caso di mancanza di produzione di latte, la frustrazione potrebbe attanagliare la mamma, scoprendola fragile e facendo crescere in lei sensazioni negative come impotenza, senso di colpa, tristezza, ansia e inadeguatezza. Gli esperti predicano, soprattutto in questi casi, tranquillità e calma nell’affrontare questo momento. Medici e psicologi sono pronti ad accogliere problematiche di questo tipo e a rassicurare le mamme sul fatto che questa “mancanza” di contatto tra il seno materno e il neonato non pregiudica in nessun modo il legame naturale fortissimo che c’è e che crescerà giorno dopo giorno.
La teoria dell’attaccamento di John Bowlby
La relazione fra madre e figlio è il primo rapporto che il bambino instaura e, per questo, è alla base di ogni legame successivo: a studiare questo meccanismo è stato in particolare John Bowlby, psicologo e medico britannico.
A lui si deve la teoria dell’attaccamento, che distingue le diverse tipologie di relazione tra mamma e piccolo. Nello specifico, l’attaccamento può essere:
- sicuro: il piccolo si fida della mamma in tutte le situazioni, comprese quelle di pericolo; viene influenzato da una figura sensibile alle sue richieste implicite ed esplicite, pronta a proteggerlo quando ne ha bisogno;
- insicuro evitante: il piccolo crede di non ricevere aiuto o di venire rifiutato in caso di bisogno, perché la madre lo respinge quando richiede conforto;
- insicuro ansioso ambivalente: il bimbo teme di non ricevere aiuto in caso di bisogno, dato che viene abituato da una madre incoerente nelle dimostrazioni di supporto, tendente inoltre a minacciarlo di rifiuto e abbandono;
- disorganizzato: è un bambino ansioso, che ricorre a pianto o gesti plateali come gettarsi sul pavimento o girare in tondo o, ancora, evita lo sguardo della madre; in genere tutte queste manifestazioni si verificano nel momento di distacco dalla mamma, vissuto come un vero trauma. La definizione di attaccamento disorganizzato non è frutto delle ricerche di Bowlby, bensì del lavoro delle psicologhe Mary Main e Judith Solomon.
Mamma, figlio e lavoro: la situazione italiana
Come abbiamo visto in un nostro recente approfondimento sul tema rientro a lavoro dopo la maternità, non sempre per una neomamma è facile conciliare il lavoro con la famiglia, tanto che nel 2016 sono state 25mila le donne che hanno deciso di rinunciare alla carriera, secondo le stime dell’Ispettorato del Lavoro. Se si guarda al quinquennio 2011-2016, la cifra arriva a 115mila dimissioni.
A rendere complessa questa fase sono diversi fattori tra i quali la mancanza di un welfare aziendale idoneo a favorire le neomamme, l’assenza in molti casi di nidi aziendali, i tempi di inserimento di un bambino all’asilo e i costi che una famiglia deve affrontare per baby sitter o strutture private.
A questo si aggiunge il senso di colpa: non è facile per una madre rompere il legame con il proprio bambino. Per alcune donne, lavoratrici nel settore del commercio, è possibile rientrare dalla maternità con orario part-time: le lavoratrici possono usare questa formula per sei mesi e solo una volta, riducendo le ore al massimo del 50% e previa rinuncia del congedo parentale, ovvero l’astensione facoltativa dei genitori dal lavoro per un periodo di 10 mesi fino ai 12 anni del bambino, che non può superare i 6 mesi di continuità e può essere richiesta a ore o ripartita nei tempi previsti.
Allattamento e permessi
I permessi per l’allattamento (o riposi orari giornalieri) sono regolamentati dall’articolo 39 del decreto legislativo 151 del 2001 e prevedono la possibilità di assentarsi due ore al giorno, non necessariamente consecutive in caso di orario lavorativo superiore alle 6 ore. In caso contrario il tempo a disposizione è di un’ora.
Nonostante vengano conosciuti con questo nome, sono dei permessi di cui i genitori, padri compresi, possono usufruire per rendere più semplice la gestione familiare ma solo ad alcune condizioni: in caso di affido esclusivo; in caso la madre non ne usufruisca; in caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; in caso di assenza della mamma per abbandono o decesso.
Per poter accedere, le donne interessate devono inoltrare la richiesta all’Inps 15 giorni prima del necessario, dando in seguito comunicazione agli uffici aziendali competenti. Un’altra possibilità di fruizione è quella di accorpare le ore per usufruirne insieme durante la settimana, anche prendendo un’intera giornata di riposo, a patto che non lo si utilizzi in unione ad altre tipologie di permesso: non è possibile infatti sfruttarlo insieme ad agevolazioni diverse. La retribuzione si mantiene al 100%, a differenza del congedo parentale che viene pagato al 30%.