A volte la propria strada si trova in maniera inaspettata. Essere donna e manager? Una bella sfida da affrontare ogni giorno
A volte la vita somiglia davvero al film Sliding Doors. Pensi che la tua strada sia già indirizzata in una certa direzione e poi, quasi per caso, trovi quello che fa per te da un’altra parte, entrando da quella porta che pare essersi aperta per caso. Ne è convinta Rodamni Peppa, Vice President Business Strategy & Commerce Excellence per Europa, Medio Oriente e Africa ( EMEA) di Boston Scientific.
L’azienda è uno dei leader mondiali nelle scienze per la vita e nella produzione di dispositivi medici (per cardiologia interventistica, aritmologia ed elettrofisiologia, endoscopia, neuromodulazione, interventi vascolari periferici, urologia e salute pelvica), ha 36.000 dipendenti, un fatturato 2019 di 10,7 miliardi di dollari, investimenti in Ricerca e Sviluppo di 1 miliardo di dollari, presenza in 120 nazioni. In Italia, l’azienda ha sede a Milano, un fatturato di 289 milioni di dollari, 365 dipendenti di cui il 49% di sesso femminile.
“Vengo da una famiglia di scienziati – spiega Rodamni –, per questo ho sempre pensato che la ricerca fosse la mia strada naturale. Ho quindi studiato biologia molecolare & biochimica, ho preso una laurea a Londra e iniziato con il dottorato. E, una volta arrivata in quello che pensavo fosse il mio ambiente naturale, sono iniziati i problemi: io, in tutto e per tutto un “animale sociale”, mi sono trovata da sola, davanti a un bancone di un metro per un metro, tra pipette e vetrini. Certo, la teoria di quel che facevo continuava ad affascinarmi, era la mia passione, ma la pratica quotidiana era molto lontana da quello che immaginavo e la gestivo con fatica”.
E poi cos’è successo?
Uno di quei casi che ti cambiano la vita. Alcuni amici mi hanno mostrato un annuncio per un ruolo di consulenza. Ho fatto l’application, è andata bene e mi hanno preso. Mi sono detta: “Provo per tre mesi e poi decido”. Non ci è voluto così tanto: il mondo della consulenza strategica mi ha conquistato immediatamente, visto che mi dava la possibilità di trovarmi faccia a faccia, quotidianamente, con tante persone, di viaggiare e fare incontri. Era esattamente quello che cercavo, qualcosa di attinente al mondo della scienza, ma molto più dinamico del lavoro in laboratorio. Ho telefonato al responsabile del mio PhD e l’ho salutato: avevo trovato la mia direzione.
Come è arrivata al suo attuale ruolo in Boston Scientific?
Boston Scientific è stata, per prima cosa, un’azienda tra i miei clienti. Ho seguito un loro progetto e, successivamente, mi hanno chiesto di passare a lavorare con loro. Avevo da poco superato i 30 anni, il lavoro di consulente mi aveva portato a vivere tanto in giro, tra Inghilterra, Stati Uniti e Milano, mi aveva aiutato ad uscire dal guscio e a prendermi molte responsabilità. Sentivo il bisogno di bilanciare meglio la mia vita e anche in questo caso mi sono detta: “Provo per un po’ e vediamo come va”. Ed ecco il secondo innamoramento, questa volta per un’azienda che mi ha dato tanto per la mia crescita personale e per far crescere la mia famiglia. Nella attuale posizione sono arrivata otto anni fa, quando mio figlio Luigi aveva già sei anni. E ho iniziato la mia via vita di executive leader con famiglia: una bella follia quotidiana.
Crede che l’Italia stia cambiando mentalità, riguardo al ruolo della donna in posizioni di vertice, e se sì, in che modo?
Credo proprio di sì, nel senso che sta proprio cambiando la percezione della giovane donna nel mondo del lavoro. Vent’anni fa, quando a circa 26-27 anni mi proponevo come donna manager, venivo guardata dall’alto in basso nel migliore dei casi, più spesso con sospetto. Oggi vedo che l’atteggiamento delle aziende nei confronti delle donne, anche giovani, è completamente diverso.
Le è mai capitato di subire molestie, mobbing o, semplicemente, di sentirsi trattata come persona “non all’altezza” in quanto donna?
Fortunatamente non sono mai stata vittima di mobbing, ma sicuramente sono stata trattata più volte con sufficienza. Non mi scorderò mai di quel cliente che, guardandomi in faccia, mi disse: “Chi è questa ragazzina che viene a dirmi cosa devo fare dopo 30 anni di carriera?”. Oppure le volte che, in un consiglio di amministrazione, ero l’unica donna sotto i 35 anni tra tanti uomini over 50: qualche volta mi è capitato di chiedermi cosa ci facessi lì. Ma credo che, in quest’ultimo caso, un po’ di colpa fosse anche mia.
In che senso?
Nel senso che spesso siamo noi donne a “declassarci” e ad abbatterci da sole, a pensare di non essere abbastanza. Certo, dipende anche dall’età e dall’esperienza: se adesso avessi modo di parlare con la Rodamni di allora non avrei dubbi, le direi: sei qui per quello che vali.
Ha dovuto sacrificare famiglia, affetti o relazioni interpersonali per arrivare al ruolo in cui è ora?
Senza dubbio ho dovuto fare dei sacrifici, ma se ho sacrificato qualcosa sono state cose personali. Mi spiego meglio: per la voglia di essere presente come madre, moglie e professionista ho deciso di azzerare hobby, svaghi e passioni: se è mancato dell’affetto, insomma, è stato nei miei confronti. Ma è stata una scelta consapevole e ponderata: la soddisfazione di veder crescere mio figlio e la mia carriera erano maggiori. E poi i miei spazi li ho recuperati con il tempo. Scoprendo un’altra cosa importante.
Cosa?
Che serve il coraggio di chiedere quello che si vuole. Spesso vedo che c’è timore a domandare, una paura che spesso è immotivata. Dall’altra parte c’è ,in molti casi, più apertura di quello che si possa pensare. E avere questo tipo di sicurezza aiuta anche a fare cose che, prima, non avresti nemmeno preso in considerazione.
Ce ne racconta una?
Qualche tempo fa avevo una presentazione importantissima, con tutti i vertici aziendali, ma dovevo anche accompagnare mio figlio Luigi all’allenamento di karate. Non potevo ovviamente mancare a quella riunione, ma, allo stesso tempo, mi dispiaceva non poter accontentare mio figlio. La soluzione? Mi sono portata dietro il laptop e mi sono collegata dal parcheggio della palestra: da lì, con il sottofondo delle voci dei bambini, ho fatto la mia presentazione. Qualcuno è apparso divertito per la situazione poco comune, ma quando ho iniziato a parlare nessuno ha più fatto una piega: è stata capita l’esigenza e non è stata messa in dubbio in alcun modo la mia professionalità. Ecco, probabilmente la Rodamni di quindici anni prima non avrebbe avuto il coraggio di fare una cosa del genere: ma con l’età si acquista più sicurezza, si impara ad osare un po’ di più e a non autocensurarsi. E si capisce che, spesso, siamo noi stesse a ingigantire o a farci problemi per situazioni che, una volta spiegate, vengono percepite all’esterno come assolutamente normali.
Quando ha affrontato il mondo di Boston Scientific ha pensato che sarebbe stata una azienda problematica, oppure che il suo curriculum avrebbe “spianato” la strada?
Ho avuto modo di entrare in un’azienda che, essendo stata mia cliente, già conoscevo. Avevo quindi avuto modo di vedere come fosse aperta, poco gerarchica, legata a dei valori precisi e non astratti che vengono vissuti e respirati quotidianamente. Il feeling, quindi, era già molto positivo e con il tempo ho trovato una vera e propria famiglia. Col passare degli anni, inoltre, sono state portate avanti con sempre maggiore attenzione policy a favore del mondo femminile, che senza dubbio hanno aiutato anche me. L’obiettivo è quello di dare chance concrete alle donne perché arrivino a ricoprire ruoli di vertice, magari aggiungendo un tocco di “sentimento” al business, senza che questo aspetto venga vissuto come un tabù.
Il mondo scientifico e quello medico sembrano essere attualmente abbastanza favorevoli alle donne. Basti pensare alle scienziate, fisiche, ricercatrici, dottoresse italiane che sono state alla ribalta anche in periodo Covid. Ritiene che questo sia un trend consolidato e definitivo e che le donne possano trovare proprio nei settori scientifici una maggiore “apertura”?
Penso proprio di sì, e credo che sia una tendenza che si sta consolidando sempre più. Il settore è aperto, capace e voglioso di accogliere tutti, in un’ottica di totale parità: uno sforzo che vedo fare da Boston Scientific, ma anche da tante aziende come la nostra. Per dire, noi misuriamo ogni mese la percentuale di donne manager sull’organico complessivo, abbiamo focus costanti per aiutare le donne a crescere in ambito lavorativo. Una scelta precisa di Boston Scientific, ma che ormai vedo estendersi a tutto il settore.
In che modo Boston Scientific è appealing per il pubblico giovane, in particolare per le donne giovani ?
Credo che sia un’azienda attrattiva sotto molti aspetti e in senso generale, non solo per le donne. E questo perché la bellezza del nostro settore sta nel fatto che ogni giorno ti impegni a salvare vite umane. In una azienda biomedicale sei a contatto con questo messaggio, vivi quotidianamente le storie dei pazienti e questo fa sì che ognuno partecipi in maniera attiva per raggiungere questo risultato: è una sensazione impagabile, che dà grande soddisfazione e uno scopo alla quotidianità. Se invece si vuole restringere la lente al contesto femminile, Boston Scientific è un’azienda consapevole dell’importanza della diversità di genere, capace di garantire a tutti le stesse opportunità. Inoltre, credo che sia anche una realtà che riesce a dare molto a chi ha voglia di viaggiare, grazie alle centinaia di uffici sparsi in tutto il mondo, di fare esperienza e di mettersi in gioco.
La parola “femminista” è ancora attuale oppure è una parola ormai superata? È una parola che sente sua? Oppure la infastidisce?
Ho riflettuto molto su questa domanda e una risposta chiara non ce l’ho. Credo che dipenda molto da come questa parola viene usata: mi sono accorta che qualche volta può rivelarsi un boomerang per le stesse donne. Forse, nella strada verso la parità, bisognerebbe evitare di mettere etichette a chiunque, e in particolare alle donne, così da evitare di semplificare concetti complessi e profondi, come per esempio è il femminismo. Non si può, per esempio, banalizzare dicendo che le donne che pretendono i loro giusti diritti sono femministe: sono richieste assolutamente normali, che dovrebbero ormai essere date per assodate. Allo stesso tempo, il femminismo dovrebbe essere ancora oggi una fonte di ispirazione per continuare le tante battaglie che interessano l’universo femminile.