La situazione delle casalinghe in Italia
Numeri, norme e leggi delle donne che si occupano di casa e famiglia
Le casalinghe in Italia sono, ancora oggi, moltissime. Tuttavia le donne che si occupano della cura della casa e della famiglia, inserendosi a pieno titolo nel tessuto sociale e professionale del nostro Paese, non vedono riconosciuto il loro impegno quotidiano da un punto di vista economico.
Di quante casalinghe parliamo in Italia? Stando all’ultima indagine dell’Istat, i cui dati sono riferiti al 2016, sono 7 milioni 338 mila le donne che si dichiarano casalinghe nel nostro Paese, con un calo di 518 mila unità rispetto a 10 anni prima. La loro età media è di circa 60 anni. Entrando più nello specifico, le over 65 sono oltre 3 milioni e rappresentano il 40,9% del totale, mentre quelle fino a 34 anni sono l’8,5%. Quanto alla distribuzione territoriale, le casalinghe vivono prevalentemente nel Centro-Sud (63,8% sul totale).
Il 42,1% delle casalinghe in Italia vive in una coppia con figli ed è una mamma casalinga, un quarto in coppia senza figli e il 19,8% da sola. Dall’indagine dell’Istituto Nazionale di Statistica emerge anche che 560 mila casalinghe sono di cittadinanza straniera.
Casalinghe: un lavoro non retribuito
Prendendo in considerazione i dati sopracitati, occorre evidenziare ancora un ulteriore aspetto di quei numeri: tra questi c’è una percentuale di casalinghe che non ha deciso spontaneamente di dedicarsi a tempo pieno alla casa e alla famiglia, ma si è trovata di fronte a una scelta obbligata.
Stando alla ricerca dell’Istat, oltre una casalinga su due non ha mai svolto un’attività lavorativa retribuita nel corso della vita, con una netta incidenza nella fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni: in questo caso le donne non hanno o non cercano un lavoro retribuito per un motivo familiare nel 73% dei casi. Inoltre, 600 mila casalinghe si definiscono scoraggiate e pensano di non poter trovare un’occupazione.
Il fatto che il lavoro casalingo non sia retribuito (nonostante sia svolto a tempo pieno tutti i giorni della settimana), ha delle ripercussioni economiche: nel 2015 erano più di 700 mila le casalinghe in povertà assoluta, pari al 9,3% del totale.
Eppure il loro apporto, a livello di ore lavorative, è rilevante: l’Istat ha infatti calcolato che nel 2014 sono state effettuate 71 miliardi e 353 milioni di ore di lavoro non retribuito per attività domestiche, cura di bambini, adulti e anziani della famiglia, volontariato, aiuti informali tra famiglie e spostamenti legati allo svolgimento di tali attività.
Le donne – sottolinea ancora lo studio – hanno effettuato 50 miliardi e 694 milioni di ore di attività domestiche (il 71% del totale). Le casalinghe, con 20 miliardi e 349 milioni di ore, sono i soggetti che contribuiscono maggiormente a questa percentuale.
Il numero medio di ore di lavoro casalingo non stipendiato svolte in un anno è pari a 2.539 per le casalinghe, 1.507 per le occupate e 826 per gli uomini (considerando sia quelli occupati sia quelli non occupati).
Il bisogno di regolamentare il lavoro casalingo non si basa, tuttavia, sulla sola quantità di tempo dedicato alle diverse attività: è sempre l’Istat a dichiarare che nel 2015 oltre 700 mila casalinghe vivevano in condizioni di povertà e che il 10,8% di loro aveva cercato di trovare un lavoro senza riuscirci; un numero pari a circa 600 mila donne tra i 15 e i 64 anni. A queste si aggiungono le donne che per motivi di natura familiare non cercano un lavoro fuori casa, pari al 73% dei casi.
Favorire l’emancipazione economica di questa importante parte della popolazione femminile è quindi essenziale per garantire alle casalinghe l’indipendenza economica sia in età più giovane sia in vista della pensione.
Dopo il lavoro: casalinghe e pensione
Se si guarda agli orari, alle attività, alle responsabilità e alla complessità delle mansioni quotidiane di una casalinga, è difficile non ammettere che il suo è un impiego a tempo pieno e a tutti gli effetti, che andrebbe istituzionalizzato e protetto sia in termini di stipendio, sia a livello contributivo e pensionistico.
A livello di tutela, è disponibile l’assicurazione casalinghe, che copre gli infortuni che avvengono tra le mura domestiche. Ma per quanto riguarda il sistema pensionistico? Come e quando una casalinga va in pensione?
Una delle opzioni possibili è affidarsi al fondo casalinghe. In questo caso l’età pensionabile delle donne casalinghe potrebbe anche essere fissata a 57 anni, con 5 anni di contributi, ma solo se la rendita mensile a cui si ha diritto supera i 543,60 euro mensili.
Se così non fosse, ovvero nel caso in cui l’assegno mensile per la pensione risultasse inferiore alla suddetta cifra, si dovranno aspettare i 65 anni per ottenere la pensione e, una volta compiuti, sarà possibile ricevere l’assegno pensionistico dal fondo Inps casalinghe senza dover rispettare alcuna soglia minima di reddito.
L’Inps spiega nel dettaglio chi ha diritto e come funziona il fondo casalinghe, istituito nel 1997. In particolare, viene stabilito che possono iscriversi al fondo di previdenza le donne di età compresa tra i 16 e i 65 anni nel caso in cui:
- svolgano un lavoro in famiglia non retribuito connesso con responsabilità familiari, senza vincoli di subordinazione;
- non siano titolari di pensione diretta;
- non prestino attività lavorativa dipendente o autonoma per la quale sussista l’obbligo di iscrizione ad altro ente o cassa previdenziale;
- prestino attività lavorativa part-time se, in relazione all’orario e alla retribuzione percepita, si determina una raggiungimento delle settimane utili per il diritto a pensione.
Pensione di inabilità e vecchiaia
Per le casalinghe è possibile optare anche per la pensione di inabilità e di vecchiaia.
La pensione di inabilità, serve avere i seguenti requisiti:
- almeno 5 anni di contributi
- che sia intervenuta l’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa.
La pensione di vecchiaia può essere versata dal 57° anno di età se sono stati pagati almeno 5 anni (60 mesi) di contributi.
Inoltre:
- viene liquidata solo se l’importo maturato risulta almeno pari all’ammontare dell’assegno sociale maggiorato del 20% (1,2 volte l’assegno sociale)
- si prescinde dall’importo al compimento del 65° anno di età.
La pensione di reversibilità
Se la casalinga non ha mai lavorato ma il coniuge sì, in caso di decesso di quest’ultimo la prima può ottenere il diritto alla pensione ai superstiti (detta anche pensione di reversibilità). Si tratta di una prestazione che viene riconosciuta ai familiari dell’assicurato Inps deceduto, che può essere lavoratore o pensionato. Si parla di pensione di reversibilità se l’assicurato era già pensionato e di pensione indiretta se l’assicurato, al momento del decesso, lavorava ancora.
La pensione di reversibilità spetta:
- al coniuge, fino a un determinato limite di reddito;
- ai figli: fino a 26 anni se sono studenti universitari; fino a 21 anni se sono studenti delle superiori; fino alla maggiore età o senza limiti di tempo se sono inabili.
Dare un valore al lavoro delle casalinghe significa, quindi, tutelare una categoria di lavoratrici ad oggi tutelata sono in minima parte. Definire uno stipendio mensile e stilare delle regole e delle tutele a questo impiego, rappresenta un’occasione per difendere sia il presente sia il futuro di queste lavoratrici e delle loro famiglie, che potrebbero contare su un reddito ulteriore e alleggerire eventuali situazioni economiche complesse.